Sono giorni di dibattiti infuocati sui social a proposito del Green pass, la Certificazione verde COVID-19 che dal 6 agosto servirà per accedere ai locali al chiuso, agli spettacoli, agli eventi e competizioni sportive, ai musei, alle piscine e palestre e a molti altri luoghi che offrono cultura, divertimento e servizi.
Chiarisco subito la mia posizione: sono favorevole all’introduzione di questa misura draconiana, anche se mi sarebbe piaciuto non fosse necessaria. Mi spiego meglio: la ritengo doverosa dal momento che servirà a convincere molti scettici sull’importanza di una vaccinazione di massa, che renderà meno lontana la meta di quell’80% di popolazione vaccinata senza la quale avremo certamente un’altra ondata di Covid, e un altro inverno drammatico davanti. Io non ce la faccio a affrontare l’idea di un altro periodo di chiusure, coprifuoco, DaD, zone a colori, distanziamento sociale e restrizioni di ogni genere.
Se la soluzione per uscirne è sacrificare tutti un pezzetto della nostra libertà, io lo faccio volentieri in nome di un senso civico che ho la certezza di possedere, e di un più generico rispetto degli altri che sento con forza anche quando gli altri non rispettano me; e mi piacerebbe che ragionassero così anche coloro i quali finora hanno detto, in pratica: andate avanti voi, che poi eventualmente vi raggiungiamo. Ma forse no, non vi raggiungiamo affatto. Il mio vaccino aiuterà anche loro; la loro scelta, invece, danneggerà me. È uno squilibrio che ha del paradossale.
Proprio per questo, credo che la scuola come agenzia formativa debba dare il buon esempio.
L’Anp, l’Associazione Nazionale Presidi, ha rilasciato pochi giorni fa una dichiarazione che ha creato un certo scalpore, ma che io condivido totalmente: “Bisogna andare oltre le ipotesi sul green pass a scuola. Per riaprire gli istituti in presenza e in totale sicurezza serve l’obbligo del vaccino per il personale scolastico. In questo modo non bisognerebbe applicare il distanziamento, che necessita invece della disponibilità di spazi”.
Il 20 agosto il ministro Bianchi riceverà il report sui vaccinati nella scuola dopo un incontro coi sindacati. Le regioni consegneranno a Figliuolo i numeri reali del personale scolastico che non vuole vaccinarsi o non può farlo per motivi di salute. Ad oggi sono 222.132 quelli che non hanno fatto neanche la prima dose del vaccino, il 15,17% dell’intero personale scolastico. È tanto, troppo, e il ministro dovrà sondarne le ragioni, e probabilmente imporrà l’obbligo vaccinale a docenti e personale amministrativo. Era scontato che ci si arrivasse, e non mi sorprende.
Chiunque lavori a contatto con il pubblico ha, secondo me, il dovere di proteggere non solo se stesso ma soprattutto i soggetti con cui ha a che fare, e la campagna vaccinale sta dimostrando che chi si vaccina non solo rischia meno di ammalarsi, ma se si ammala contrae forme lievi di Covid, e gli ospedali possono tirare un sospiro di sollievo. Terapie intensive piene significano un sovraccarico di lavoro per gli operatori sociosanitari e meno tempo per occuparsi degli altri malati, che hanno sofferto tantissimo le ondate precedenti della pandemia.
Interventi chirurgici rimandati, terapie non eseguite, visite concesse con mesi di ritardo. Per questo sono così arrabbiata con i no vax: ho amici che hanno subito tutto questo, e altri che hanno perso persone a causa di un male di cui qualcuno si ostina a dire: non esiste, è un complotto, non è poi grave a tal punto per cui ci si debba vaccinare per forza.
Siamo arrivati a dover chiedere ai genitori che vogliono tornare a una vita normale di vaccinare figli dodicenni, con tutte le preoccupazioni e le remore del caso.
Chiedo: sarebbe stato necessario, se un numero maggiore di adulti si fosse vaccinato, invece di andare a manifestare in piazza tirando in ballo parole come nazismo e dittatura? La risposta, secondo me, è no. Ho sentito dire spesso che i danni maggiori il Covid li ha provocati agli adolescenti, che sono stati quelli che hanno fatto i sacrifici maggiori. Mi chiedo, oggi, se la colpa in fondo non sia stata, o non sia, un po’ anche degli adulti.