Home TRA FINZIONE E REALTA' FABRIZIO MARI Stefano e la Cristina | Fabrizio Mari

Stefano e la Cristina | Fabrizio Mari

Si parla di un bel mucchietto di anni fa se racconto adesso questa storia. Si era in chiesa al Castellare con don Mario e Guidino, il mitico sacrestano, che ogni volta che mi vedeva si metteva le mani tra quei capelli a spazzola che aveva. Ricordo ancora il giorno del suo funerale, che c’era più gente che nemmeno fosse stato un re. Credo sia stato amato più di qualsiasi papa. Noi gli si voleva bene, anche se ci tirava certe pacche sulla testa che ci rimbecillivano. Fu più o meno in quel periodo che conobbi Stefano e la Cristina.

Sono entrambi miei paesani, cioè voglio dire degli Alberghi. Loro erano del centro, verso gli Zei, mentre io stavo vicino al cimitero e ricordo che mi addormentavo guardando i lumini che da lontano parevano tante fiammelline. Ogni fiammellina era un morto. E ce n’erano tante di queste fiammelline.

All’epoca erano piccolini Stefano e la Cristina; lui credo abbia oggi quarantatre e lei sarà sui quaranta, mentre io a luglio, se ci arrivo, ne farò quarantanove.

Io, insieme con mio fratello, quello grande, si era nel gruppo dei chierichetti di don Mario. Anzi, eravamo un po’ i bulletti della sacrestia. Ricordo quando ci si trovava in chiesa: Stefano e la Cristina erano sempre lì d’intorno a don Mario o a spostare un candelabro o a spolverare una Madonna. Si vedeva già da allora che sarebbero diventati pii e santi, dico Stefano e la Cristina. Avevano già gli occhini lucidi di quelli che stanno a ore a battersi il petto e a parlare a voce bassa, proprio come fa il prete quando confessa. Sono rimasti uguali, beati loro.

Lei era come ora, vispa e con un visino bellino da morire e Stefano uguale, forse con un po’ più di capelli. Erano comunque troppo mangiaostie secondo i nostri gusti. Guidino non faceva in tempo a tirare la corda della campana che annuncia la messa che loro erano già ginocchioni a pregare davanti al Santissimo. Erano tremendi.

La Cristina poi, tutte le volte che entrava in chiesa, dopo essersi segnata, andava davanti al tabernacolo e batteva il ginocchio per terra talmente forte che tutti noi si pensava che se lo sarebbe rotto prima o poi.

Ogni tanto la vedo all’Esselunga coi figlioli e mi pare cammini a  modo, ma davvero, giuro, avrà picchiato quel ginocchio per terra in chiesa al Castellare almeno un migliaio di volte. E poi era buffa vederla con quella faccina da madonnina infilzata che si confessava ogni sabato pomeriggio da don Mario. Ma cosa doveva confessare al prete la Cristina? Io boh.
Era sempre la prima a fare la comunione; per Natale, visto che era bellina, educata e pia che pareva una monaca trappista, le suore la vestivano da Madonna, mentre Stefano, che da quando lo conosco si sarà confessato, non esagero, una volta alla settimana per trent’anni, sempre con quel rosario in mano, era san Giuseppe. E dovevate vederli come erano bellini Stefano e la Cristina!

C’era la fila di macchine giù fino a Girardengo. Tutti volevano vederli. E c’era pure chi, in fila, si sporgeva per toccarli, credendo che fossero davvero due santi. Ora un pochino esagero, ma tutti si ricordano di Stefano vestito da san Giuseppe e la Cristina da Madonna.

Si capiva che sarebbero diventati là là col tempo marito e moglie. Volete conoscerli? Andate al Castellare la domenica alla messa delle nove e dell’undici. Troverete di sicuro Stefano e la Cristina coi loro due figlioli seduti sulla prima panca, tutti col rosario in mano a snocciolare preghiere ed a battersi il petto, che pare vengano pagati.

Io poi ho un pochino più di confidenza con la Cristina. Tutte le volte che la vedo mi dice sempre che sta leggendo la vita di qualche santa. Ma è possibile? La Cristina sa tutto della vita di ogni santa. È una roba allucinante. Stefano, l’ultima volta che l’ho visto,  portava una croce enorme sul groppone e piangeva di brutto. Era la settimana santa di qualche anno fa e la parrocchia del Castellare aveva organizzato la via Crucis.

Stefano ovviamente era Cristo, mentre la Cristina seguiva la processione con addosso una balla che puzzava di ramato. Piangeva. Io ero chierichetto con Alessandro ed Antonio, il Caralli. Anche Stefano piangeva. Don Mario, finita la processione, asciugandosi le lacrime, ricordo che si congratulò con Stefano e la Cristina, nemmeno fossero Burt Lancaster e la Claudia Cardinale, ma loro invece di essere contenti piansero ancora di più perché si erano talmente calati nella parte che parevano proprio Cristo e la Madonna.

La Cristina è fissa in chiesa. È sempre lì dentro che mette candele e ceri, che una volta prima o poi la farà bruciare. Ora vi dico una roba che rimarrete sconcertati.

Credo fosse vicino Natale. Si preparava dei regalini da dare alle suore dell’asilo del Castellare. Non mi ricordo se cadde a me, ma insomma cadde un regalino per terra e alla Cristina uscì fuori un “accidenti!”, per me del tutto innocente. Lei sbiancò che sembrava più bianca del manutergio ed andò subito a chiamare don Mario perché voleva confessarsi. Ed aveva detto “accidenti”! Pianse poi tutto il giorno e dovevate vedere Stefano che la rassicurava che non sarebbe andata all’inferno. Io rimasi stravolto.

Non dico che Stefano e la Cristina non siano bravi, ma anche lui però mi manda le foto dove si vede la Cristina che prega ginocchioni giù a Montenero, oppure lui che ha sulla groppa una croce che sembra l’albero maestro della Vespucci. Io non so perché Stefano voglia fare sempre il Cristo durante la settimana santa.

Ora che sto scrivendo di loro, e loro non lo sanno, mi sono arrivati due messaggi sul telefonino: Stefano mi manda la foto del santino di santa Rita da Cascia, mentre la Cristina quella di un piatto colmo di ostie. Ah già, non ve l’ho detto, ma la Cristina oltre ad essere bellina è pure una cuoca niente male. Fa le migliori ostie della Valdinievole. Credo che abbia comprato mesi fa su Amazon una piastra elettrica che ne sforna a decine ogni mezz’ora.

Le regala a tutte le parrocchie della diocesi e, non ridete, perché è la verità, non criticatela, perché se no dice “accidenti!” e corre di nuovo a confessarsi dal primo prete che trova libero.