Il Forti nasce a Pescia nel novembre 1806 nel palazzo di famiglia, posto nell’odierna Ruga degli Orlandi al numero 42, da Anton Cosimo e da Sara Sismondi, sorella di Jean-Charles-Léonard, il quale si era trasferito da Ginevra nella villa di Valchiusa, oggi sede della Biblioteca comunale. Suo fratello Pietro divenne vescovo della città dal 1847 al 1854.
Dopo una prima non esaltante esperienza presso il seminario cittadino – vescovo era il pistoiese Giulio de’ Rossi – Francesco entrò nell’assai più stimolante collegio fiorentino degli Scolopi, in borgo San Lorenzo.
Sedicenne, si iscrisse a Giurisprudenza presso l’ateneo di Pisa.
Qui, noto per essere un ambiente ricco di fermenti culturali liberali, conobbe il professor Carmignani, che lo avvicinò alle idee del Rosmini, introducendolo allo studio della filosofia civile.
I contatti con il celebre zio Sismondi non furono molto proficui in questi anni, anche se il giovane Francesco utilizzò i libri presenti nella ricca biblioteca di Valchiusa.
Imbevuto delle letture degli illuministi francesi ed italiani (Montesquieu, Condillac, Filangieri e Beccaria), il Forti scrisse nel 1824 una Lettera sulla direzione degli studi – lodata dallo zio – che però fu avversata dalle autorità ecclesiastiche, che ne proibirono la lettura.
Ottenuta la laurea, si stabilì a Firenze, dove fu accolto dal Vieusseux, che gli suggerì di scrivere nella sua Antologia. In quegli anni il Forti scrisse numerosi saggi, tanto da apparire come lo storico ufficiale di questa celebre rivista fiorentina.
Rifacendosi agli studi del Giannone e del Muratori, il Forti usò un metodo pragmatico, contrapponendo alle astruse metafisiche un ordine rigoroso, storico e ben determinato. Lontano dalle idee giacobine, sottolineò invece l’importanza dell’esperienza napoleonica, alla quale riconobbe il merito di aver promulgato il codice civile in Italia ed avviato un rinnovamento della macchina burocratico-amministrativa italiana.
Un suo celebre articolo apparso sull’Antologia nel 1832, Dubbi ai romantici, fece piuttosto scandalo perché, all’immaginazione ed al sentimento dei primi, il Forti anteponeva la verità storico-critica, accompagnata dal ragionamento. Assunto presso la Ruota criminale di Firenze come avvocato, dovette abbandonare l’Antologia, con grande rammarico dei suoi amici fiorentini e di suo zio, che parlò apertamente di “tradimento”.
Ammalatosi gravemente, Francesco Forti era riuscito comunque a scrivere due dei quattro volumi pensati sulle Istituzioni civili, un’opera che doveva servire a chi si fosse avviato alla pratica forense.
Morì trentaduenne a Firenze e fu sepolto nella cappella di famiglia della villa Il Riposo, a Sant’Allucio di Uzzano, poi passata ai Gambarini ed infine ai Marini.