Non sono mai stata un motivo di preoccupazione per i miei genitori. La preside non ha mai chiamato a casa, non ho mai preso una materia a Settembre e non ho idea di come sia fatta la questura di Pescia. Però nel Luglio 2020 ho deciso di infrangere il mio record e mi sono iscritta a Lettere. I miei già mi vedono precaria, disoccupata, afflitta dalla vita perché nel 2021 a cosa serve la letteratura? Le cose devono servire a qualcosa, altrimenti cosa le fai a fare? D’altronde un ingegnere serve a non far cadere i ponti, un medico a garantirci la salute e un commercialista a far quadrare i conti.
E un letterato? La letteratura non serve a niente, è vero, ma perché c’è un problema di base: la letteratura non serve, la letteratura è. La letteratura ti apre le porte della mente di chi scrive, ti permette di osservare le cose da un punto di vista diverso e ti fa comprendere che in questo mondo non sei solo quando galleggi nella tua noia, quando perdi qualcuno di caro puoi abbandonarti fra le righe della storia di Achille e Patroclo e sai che il tuo procrastinare non è poi così diverso da quello di Zeno.
L’amore per la letteratura è un motore che non puoi rifornire con formule matematiche o, ancora di più dato che adesso conta solo quello, con un conto corrente a sei zeri. Ad amare ci vuole coraggio, ce lo ripetono da una vita, e la mia scelta universitaria è un gesto d’amore. Se avrò la fortuna di sedere alla cattedra lo ripeterò fino alla nausea ai ragazzi che ogni tanto seguire l’Amore non è deleterio, che chi pensa sempre e solo al tornaconto fa la fine di Fàfnir e che la letteratura non serve, la letteratura è. E noi fummo, siamo e saremo.