Quel due di febbraio di tanti anni fa, accidenti se me lo ricordo.
Fuori non faceva nemmeno tanto freddo, sebbene si fosse in pieno inverno.
Si era da soli in casa nonna ed io.
Io avevo otto anni ed avevo un mare di problemi. Ero difficile da gestire. Ero orribile.
I miei erano andati via a trovare dei parenti ed i miei due fratelli erano con loro.
Ricordo quel giorno. Nonna mi aveva fatto bere una tazzina di caffè, di quello buono però, non quello mescolato con l’orzo, che a me non piaceva. Era sempre festa quando rimanevo in casa da solo con nonna. E lei lo sapeva. Ed a me vengono i lucciconi agli occhi ora che lo scrivo.
Per la Candelora non andai a scuola per via dei pidocchi che trovarono in testa ad alcuni miei amichetti.
Ricordo benissimo che la maestra mi brontolò perché disegnai sulla lavagna quello che io pensavo fosse un pidocchio e scrissi anche che cavolo di vita dovevano fare, piccoli e scuri, e brutti come la morte che ha le gambe secche e sempre porta con sé la frullana arrugginita sulla spalla destra. Io immaginavo così i pidocchi, scusatemi. La maestra fece chiamare i miei e poi tutto finì lì. Ma ricordo che lei si arrabbiò parecchio con me.
Nonna, ovviamente, vivendo con noi, sapeva dei pidocchi, ma da quella grande donna che è stata non ci fece poi molto caso. Figuriamoci, era del 1912, lo stesso anno in cui affondò il Titanic.
Pochi giorni prima della Candelora ricordo che una mattina arrivarono in tutta fretta nella nostra scuola il sindaco tutto bardato colla fascia della bandiera ed il vescovo che pareva uscito dal conclave. Io rimasi a bocca aperta.
Di solito a carnevale nonna mi vestiva da capitan Harlock o da Peter, l’amichetto di Heidi.
Tornai a casa e non dissi una parola. Però rimasi colpito da quei vestiti e da quei due uomini che parlavano strano. Nessuno però rammentò i pidocchi. Che io sempre immaginavo piccoli e scuri. Forse erano anche meno brutti dopo che erano venuti a trovarci il sindaco ed il vescovo.
Quella mattina la maestra si era fatta i capelli, ed era più bella del solito. Lo so perché me lo disse la bidella, che era la zia della mia amichetta del cuore, Patrizia.
La mia maestra era la più bella di tutte ed io ero contento quando con il palmo della mano destra mi accarezzava chiamandomi per nome.