Per tutti gli appassionati di Calcio, il portiere Renato Copparoni costituisce un nome importante. Non solo per aver vestito negli anni ’70 e ’80 le maglie di Cagliari, Torino e Verona. Copparoni è stato il primo portiere a parare un calcio di rigore a Diego Armando Maradona durante la partita Napoli – Torino del 2 marzo 1986.
In questa intervista, il dott. Copparoni ci parla anche di quell’evento storico.
D.Copparoni, può descriverci quella partita durante la quale riuscì a parare un calcio di rigore a Diego Armando Maradona?
R.Giocavamo contro il Napoli, una squadra che era fortissima soprattutto con la presenza di Diego Armando Maradona che, in definitiva, il salto di qualità lo fece proprio con lo stesso asso argentino. E ne eravamo consapevoli. Però, anche noi eravamo una squadra forte, ma si sapeva che sarebbe stata una partita difficile e, infatti, perdemmo 3 a 1. Andammo in vantaggio per primi con un goal di Pietro Mariani, al quale replicò immediatamente l’autorete di Giacomo Ferri che riportò il risultato sull’ 1 a 1. L’autorete di Ferri spianò la vittoria al Napoli. Forse, se fossimo riusciti a mantenere il vantaggio per più tempo, non avremmo perso quella partita… Giocammo una buona partita, ma avevamo di fronte una squadra forte. Maradona non segnò in quella partita. Ma a pochi minuti dalla fine, l’arbitro Pierluigi Magni decretò il calcio di rigore a favore del Napoli. E tutti gli 80000 spettatori si aspettavano il goal di Maradona. Io mi era già mentalmente preparato ad un calcio di rigore di Maradona. Due settimane prima avevo visto il calcio di rigore che aveva trasformato contro l’Inter battendo Walter Zenga che si era mosso poco prima. Generalmente, chi non calcia forte, guarda il movimento del portiere. In quella circostanza, Maradona vide che Walter era orientato a buttarsi da una parte e lui calciò la palla dall’altra. Vedendo questo episodio pensai, se dovesse capitare un calcio di rigore battuto da Maradona, devo starmene fermo senza dargli nessuna indicazione. E quando Maradona calciò il rigore, feci un passo in avanti senza andare né a destra e né a sinistra, e lui mi guardò. Come gesto tecnico non fu una parata difficilissima perchè indirizzò la palla tra me e il palo. Diciamo che la parata di quel rigore fu dettata da una preparazione mentale. La cosa che mi colpì in quel frangente fu che gli 80000 spettatori rimasero dieci secondi ammutoliti e senza sentire una mosca volare. Non pensavano che Maradona potesse sbagliare un calcio di rigore.
D.Quale fu la reazione di Maradona?
R.Rimase fermo e un po’ meravigliato. Era la prima volta che sbagliava un calcio di rigore, ma poi continuò a giocare… Al termine della partita lo incontrai nel sottopassaggio per recarci negli spogliatoi e mi disse: “Bravo!”. Anche nelle interviste televisive e sui giornali ribadì che era stato bravo Copparoni e la cosa fini lì. In seguito mi sarebbe piaciuto incontrarlo nuovamente. Ho giocato con gli ex della Nazionale in tante città del mondo, ma purtroppo non mi è capitato di incontrarlo.
D.Ha nostalgia del Calcio degli anni ’70 e ’80?
R.Sicuramente sì. C’era più attaccamento alla maglia. Tutti i calciatori giocavano per la loro squadra e si sentivano attaccati a quella maglia. Oggi i calciatori pensano al denaro, ai loro interessi, guardano e vedano oltre la maglia… Non ce l’ho tanto con loro che, in definitiva, fanno i loro interessi. Ce l’ho con la situazione che si è creata con la l’approvazione dell’articolo 91 che consente ad un giocatore di sottoscrivere un contratto secondo il tempo che più desidera rimanere in quella società. Ai miei tempi non c’era il contratto a termine. Un giocatore firmava un cartellino con una società e da quel momento la stessa società gestiva la sua vita professionistica e professionale.
D.Copparoni lei è stato il secondo di portieri come Enrico Albertosi, Giuliano Terraneo, William Vecchi, Silvano Martina e Fabrizio Lorieri. Di chi ha un ricordo particolare?
R.Albertosi è stato il mio grande maestro. Giunsi nel Cagliari ancora giovanissimo quando lui era anche il portiere della Nazionale. Da bambino era il mio idolo e addirittura tifavo la Fiorentina visto che giocava nella squadra viola. Ancora oggi ci sentiamo e quando viene in Sardegna ci vediamo. Sono molto legato ad Albertosi.
D.E in merito ai suoi allenatori?
R.Un po’ tutti. Mario Tiddia, allenatore del Cagliari, mi ha scoperto e gli devo tantissimo, anzi, tutto. Manlio Scopigno, parlava poco, ma le cose che diceva non venivano mai replicate. Dal punto di vista caratteriale mi sono trovato bene con Luigi Radice. Un uomo che sapeva trascinare e di trasformare un’ intera squadra. Altri due allenatori importanti furono Eugenio Bersellini, dicevano che era un sergente di ferro, ma in realtà era un padre di famiglia e una persona onestissima. Poi Osvaldo Bagnoli, un grande veramente, una persona meravigliosa.
D.Copparoni, può spiegarci in quale modo ha conseguito la laurea in Scienze Politiche durante la sua carriera agonistica?
R.Mi ero scritto all’Università quando giocavo ancora nel Cagliari. Quando venni ceduto al Torino nell’estate 1978, avevo quasi tutti i compagni sposati e con la loro famiglia. Io, essendo solo, al termine degli allenamenti e dopo pranzo e cena, rientravo a casa avendo diverse ore libere. Quindi, pensai di riprendere gli studi. Sostenni l’esame di diritto pubblico e l’occasione mi fece conoscere un giovane studente con il quale iniziai a studiare insieme nei miei momenti liberi. Praticamente la sua famiglia mi adottò. Lui, al mattino, frequentava l’Università ed io mi allenavo. La sera studiavamo insieme. In sostanza abbiamo sostenuto il corso di laurea insieme e ci siamo laureati. Volere è potere. Il calciatore dispone nel corso della giornata di molte ore libere. Se ha degli obiettivi come quello, per esempio, di laurearsi si siede e studia. Magari impiega un po’ più di tempo del solito, però prima o poi riesce.
Ho un bel ricordo della città di Pescia. Quando dovevamo giocare contro la Fiorentina, la Pistoiese, il Pisa e l’Empoli alloggiavamo sempre a Villa delle Rose.