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Scorci del territorio. Il gelso e la seta a Pescia | Fabrizio Mari

Come già avvertito dal compianto Gigi Salvagnini alcuni decenni fa, l’introduzione della coltivazione del gelso e dell’allevamento dei bozzoli da seta fu fortemente voluta dai primi granduchi, specialmente da Cosimo I (1537-1569) e da Ferdinando I (1587-1609).

 

Fu, quindi, la seconda metà del Cinquecento a vedere il settore della seta occupare gran parte dell’economia pesciatina insieme con quella cartaria.

 

L’introduzione dell’allevamento dei bachi da seta e la coltivazione del gelso avvenne nel Trecento ad opera di mercanti lucchesi stanziatisi a Pescia. Una consolidata tradizione locale indica però in Francesco Buovicini, pesciatino, di ritorno da un viaggio in Cina nel 1434, colui che introdusse a Pescia, all’interno di un bastone da viaggio, alcuni bachi da seta.

 

Segno della crescente importanza dell’allevamento dei bachi da seta in Pescia fu l’emanazione di alcuni provvedimenti della repubblica fiorentina; uno tra i più rilevanti fu l’obbligo dei proprietari pesciatini a piantare cinque gelsi l’anno per ogni pertica coltivata.

A Pescia la raccolta delle foglie di gelso, dell’allevamento dei bachi da seta e della successiva loro dipanatura (trattura) avvenivano nei mesi primaverili, impiegando donne, minori e vecchi, che divennero così i principali allevatori di bachi e produttori di seta cruda.

 

Furono però soprattutto le donne ad essere protagoniste di questo sistema economico, che fece la fortuna di Pescia nell’Italia del Cinquecento, quando pure qui fu introdotta la torcitura idraulica della seta (i famosi “mulini da seta”), grazie alla presenza dei numerosi corsi d’acqua della zona. Il primo filatoio idraulico fu impiantato nel 1589 da un modenese, Cristofano di Simone Cappelletti.

Da quel momento in poi il prodotto grezzo poteva essere lavorato fino a divenire un filato pronto per la fase finale della tessitura.