Home TRA FINZIONE E REALTA' FABRIZIO MARI Quel 31 con nonna | Fabrizio Mari

Quel 31 con nonna | Fabrizio Mari

Capii subito che non sarebbe stato un ultimo dell’anno normale quando vidi nonna tutta cilindrata e con un filo di trucco, che a me pareva più la Gloria Swanson che nonna che conoscevo io, quando, tutta impettita davanti l’uscio di casa, mi disse che sarebbe andata al Te Deum in cattedrale, perché aveva da vedere le sue amiche ed un canonico col quale, io credo, avesse una storia. Eravamo soli in casa quella sera. Nonna ed io.

 

Non ricordo l’anno, ma forse avevo quindici anni, ed ero più stupido del solito. Ma nonna mi voleva bene, nonostante tutto.

Insomma, quando lei mi disse che andava al Te Deum, lì per lì pensavo mi avesse mandato a quel paese. E nemmeno avevo il biglietto per andarci. Ricordo però che stetti tutto il tempo a capire cosa nonna avesse voluto dirmi. Te Deum.

 

Io già tifavo Inter e pensai lì per lì fosse una cosa contro la mia squadra del pallone. Nonna era tifosissima della Fiorentina, Dio l’abbia in gloria.

Era meravigliosa, dico nonna, non la Fiorentina; magari lei non ricordava i nomi dei suoi otto nipoti ma, accidenti, sapeva snocciolarti la formazione dei giocatori della Fiorentina che vinse lo scudetto nell’annata 1955-1956, che lei era quasi vicino ai cinquanta anni ed era bella come il sole quando tramonta laggiù verso il mare sotto Livorno. Che lei amava tanto.

Non riuscirò mai a scordarmi quegli occhi verdi e celesti che mi rimproveravano ogni giorno e che guardavano sempre oltre il mare come nemmeno Magellano o Colombo avrebbero fatto. Nonna era nonna. E sempre lo sarà.

 

E insomma, nonna, la sera del trentuno di parecchi anni fa, andò in cattedrale a sentire il Te Deum. Nel forno, se non ricordo male, c’era un’anatra intera, che nonna mi disse di badare ogni tanto, aprendo il forno con attenzione, senza che mi bruciassi. Ero tordo all’epoca, ma non così sciocco da bruciarmi davanti ad un forno.

 

Mi aveva lasciato da solo in casa a lavare le patate. Voleva farle fritte anziché arrosto insieme con quella povera anatra. Non dovevo assolutamente pelarle, perché lei le patate fritte le mangiava rigorosamente con la buccia. Come fa la regina d’Inghilterra anche ora.

E qui credo che nonna volesse ricordare i suoi bei tempi trascorsi oltre la Manica da una zia di sua mamma che abitava a Croydon, Londra, quando era una bellissima bimbetta. Nonna quando era bimbetta era bellissima, che voi stentereste a crederlo.

 

Decenni dopo, dissi a nonna che nel quartiere dove aveva trascorso la gavetta di cameriera prima e cuoca poi era nata Kate Moss. Quando poi le mostrai una foto vestita della Kate, nonna se ne uscì dicendo che era “carina”, “niente di che”, mentre io, tutto eccitato, le dicevo che era una tra le donne più belle del mondo. Nonna non rispose.

Io avevo paura quando nonna non rispondeva.

 

Quella sera dell’ultimo dell’anno nonna rientrò dal Te Deum che aveva i capelli che pareva Mosè mentre scendeva dal monte dopo aver visto Dio. Nel frattempo, i miei telefonarono che avevano fatto un incidente vicino Guamo e che sarebbero rimasti a cena dalla cugina di mamma.

 

Così passammo nonna ed io quella sera. Da soli.

L’anatra era buonissima.