Ricordo bene quell’anno. Era il 1984 e mancava poco a Natale. Io avevo dodici anni. Agli Alberghi, tutte le famiglie avevano già fatto l’albero, mentre solo poche il presepe ed era chiaro perché. Chi aveva uno o più gatti a giro per casa non voleva trovare il Bambinello, con quelle sue bianche braccine ritte verso il cielo, a fare il morto nella ciotola dell’acqua o vedere la statuina della Madonna dagli occhi blu scaraventata dal gatto là nel canto del caminetto a far compagnia alle pine che servivano per accendere il fuoco.
Eccome se ricordo quel Natale, accidenti. Nonna si fratturò una manciata di costole – come disse all’infermierino del pronto soccorso a Pescia – inciampando nel coltrone che era mezzo per terra, mentre rifaceva il letto a quell’impiastro di suo cugino, monsignor Carlo, che si era fermato da noi prima di partire per la Terrasanta insieme con alcuni cardinali suoi amici.
Nonna stette un paio di giorni all’ospedale e poi, grazie ad una scusa delle sue – tipo che doveva aprire la chiesa alle sette di mattina per spolverare le panche o che se fosse rimasta un altro giorno lì i suoi amati polli sarebbero morti di fame – il medico che era lì quella mattina la mandò via.
Babbo ed io si andò a prenderla che lei era già da un pezzo fuori davanti le porte scorrevoli dell’ospedale. Non ci ringraziò per essere venuti, ma chiese subito se il pio pellegrino, cioè il cugino, fosse sempre a casa. Se ne accorse da sé appena passammo il cancello, che era stato tinto di fresco per via che veniva lo zio prete.
La siepe che costeggiava il lunghissimo viale che dalla strada maestra portava alla nostra aia era tutta un fiorire di lucine, stelline, comete minuscole come pulci e poi statuine, tante statuine di santi. Vi erano oggetti e animali strani accanto a quei santi: chi teneva in mano una gratella, chi un grasso maialino, chi un mazzo di chiavi, chi un libro, chi era trafitto da decine di dardi, chi sembrava appena uscito da una sassaiola, e poi non mancavano i Cristi, accidenti, tanti Cristi, in ceramica smaltata colorata e Madonne azzurrissime con certi Bambini in collo biondissimi, che non parevano più ebrei bensì tedeschi o forse anche svedesi.
Se voleva sorprendere nonna, zio Carlo c’era riuscito. Sempre seduta in macchina, nonna tirò un moccolo spaventoso quando vide tutta quella incredibile paccottiglia luminosa sparsa nella siepe, ma io fui un poco più furbo di lei, perché coprii quella oscenità irripetibile con due assai scomposti colpi di tosse. Nonna ed io eravamo salvi. Non per il paradiso, ovviamente. Babbo non sentì niente per fortuna ed io ricordo che quella sera per colpa di quella tosse simulata mi toccò andare a letto con tre cucchiai di uno sciroppo che sapeva di fiele e di lezzo insieme, ed una supposta, perché avevo per giunta due linee di febbre. Ma prima dello sciroppo e della supposta avevo già portato giù i cenci di nonna a lavare e su in camera sua la sua borsa.
Nonna era tutta pimpante, nonostante le facesse male la vita, ma il dolore sarebbe passato di lì a qualche settimana. O così almeno noi si pensava. Zio Carlo non c’era; credo fosse alla novena. Dove poteva essere se no un prete la sera, prima di cena, a pochi giorni dal Natale – malignò nonna, entrando di sorpresa in cucina e lasciando mamma, babbo ed io ad occhi aperti – o è in chiesa o è dalla ganza! Nonna sembrava essersi ripresa benissimo.
Di quella cena e poi di altre simili – in totale zio Carlo stette da noi tre settimane – ho tuttora ricordi indelebili. Ancora oggi con nonna parliamo di zio Carlo con affetto. Dovreste sentire cosa esce dalla bocca di nonna quando parla di zio Carlo da giovane.
Purtroppo è morto quest’anno durante il terremoto in Nuova Guinea. Zio Carlo era là per conto del papa, a sbrigare certe faccende inerenti alla erezione di una nuova diocesi, quando, durante la messa in un villaggio vicino Kokopo, il terremoto distrusse quella piccola chiesa in pochi secondi, uccidendo tutti i fedeli. I giornali locali dettero gran risalto alla morte di zio Carlo. Dalle foto si vedeva chiaramente che il crocifisso di legno gli era caduto addosso, sfracellandogli la testa.
Quando noi si seppe dalla televisione, babbo corse nel pollaio per dirlo a nonna. Lei, posata per terra la ciotola del granturco, si fece il segno della croce, e poi continuò indisturbata a dare da mangiare ai suoi amati polli. Un altro morto sul lavoro, disse nonna quando babbo uscì dal pollaio.