Home ALESSANDRO BIRINDELLI La mortalità per Coronavirus in Italia. I tanti perché… | Alessandro Birindelli

La mortalità per Coronavirus in Italia. I tanti perché… | Alessandro Birindelli

L’epidemia da Covid19 ha avuto un’amplissima diffusione arrivando finora ad infettare 64 milioni di persone e a causare 1,5 milioni di morti nel Mondo intero (per inciso nel Comune di Pescia, al 3 dicembre, vi sono stati 573 contagiati e 15 decessi).

Ogni nazione ha comunque mostrato caratteristiche di infezione differenti; in particolare in Italia è stata rilevata un’importante concentrazione di casi in specifiche aree geografiche e si è assistito ad un’elevata mortalità in tutto il territorio nazionale raggiungendo il picco con 993 deceduti il 3 dicembre; per quanto riguarda la mortalità l’Italia è terza nel Mondo e prima in Europa. Dati aggiornati al 30 novembre mostrano che la mortalità da Covid19 in Italia è pari al 3,8% dei positivi, dopo Messico 9,8% e Iran 5,4%, al pari di UK 3,7%. Nei paesi europei le percentuali invece sono: Germania 1,6, Francia 2, Spagna 2,8, Austria 0,8.

Viene quindi spontaneo chiedersi perché tanti morti in Italia. Non esiste una risposta precisa ma dalla lettura della stampa nazionale e delle riviste specializzate emergono alcuni indizi.

Il primo è il più ovvio: l’Italia è un “paese di vecchi”; gli over 65 rappresentano il 25% della popolazione e gli ultra ottantenni il 7,5%; solo il Giappone ci supera con gli over 80 che sono il 9%. È noto poi che gli anziani presentano spesso patologie e comunque sono “fragili”, cioè hanno frequentemente una ridotta capaci di reazione agli eventi che li colpiscono. Inoltre l’osservazione che la mortalità nel continente africano è molto più bassa rispetto alla media europea si può spiegare col fatto che in quei paesi gli over 65 sono solo il 4% della popolazione.

Il secondo indizio: gli anziani che muoiono sono in maggioranza affetti da almeno tre patologie (tra diabete, ipertensione, malattie di cuore, insufficienza renale…), sono cioè “polipatologici”; ma attenzione: si tratta di patologie che di norma, se ben controllate, consentono di svolgere ancora per tanti anni una vita discretamente normale. Sono, in altre parole, le patologie della cronicità e della fragilità; è probabile che, nel caso dei vecchi non morti direttamente per Covid19, l’infezione possa aver contribuito al decesso accelerando eventi già in atto, accentuando la gravità di malattie preesistenti oppure limitando la possibilità di cure.

Il terzo indizio: in Italia i morti che risultano positivi al tampone sono stati spesso classificati come deceduti per Coronavirus, anche se affetti da gravissime patologie in fase terminale, cosa che alcuni paesi, esempio la Germania, non hanno fatto.

Il quarto: il numero dei tamponi eseguiti non era elevato nei primi mesi della pandemia, infatti più se ne fa e più cala l’indice di letalità; in queste ultime settimane però, grazie all’aiuto e all’abnegazione degli operatori del SSN e della Protezione Civile, il numero dei tamponi giornalieri risulta in netta crescita.

Il quinto indizio: l’inquinamento atmosferico irrita le vie respiratorie, aumentando i recettori ACE2, la cui maggiore espressione favorisce l’ingresso del Covid19 nelle cellule degli alveoli polmonari; non a caso la pianura padana, dove si trovano Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, è una delle zone più inquinate in Europa.

Il sesto: l’efficienza del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Questo è da sempre riconosciuto come uno dei migliori al mondo per la notevole capacità di erogare un elevato livello di assistenza a chiunque necessiti di diagnosi o terapie. Al buon livello medio di competenza degli operatori si è però contrapposto, da alcuni anni, un calo nel numero dei posti letto ordinari ed intensivi e un diffuso calo nel numero del personale dipendente. A tutto ciò, per far da contraltare, è stata comunque affiancata una capillare organizzazione assistenziale sul territorio, che però non sempre si è dimostrata all’altezza (vedi i trasferimenti nelle RSA ad inizio pandemia oppure la scarsa capacità di ridurre gli accessi ospedalieri dei sintomatici).

In Italia i posti letto ospedalieri sono 3.2 per 1.000 abitanti, mentre in Germania 8, in Francia 6 e in Spagna e UK 3. Invece i posti letto in rianimazione in Italia sono 8.6 per 100.000 abitanti, in Francia 16.3, in Germania 33.9, in UK 10.5 e in Spagna 9.7.

Il numero totale dei posti letto e del personale ha avuto senz’altro un peso nelle fasi più acute della pandemia, quando si trattava di fornire cure rapide ed efficaci. A questo va poi aggiunta la difficoltà, incontrata nei primi mesi, di curare adeguatamente una patologia non ancora ben compresa (esempio: nelle prime settimane non era ancora noto che una delle espressioni più severe della malattia era rappresentata dall’embolia polmonare).

Il settimo indizio: un tracciamento non sempre efficace si riflette sulla diffusione e quindi sulla mortalità; per stessa ammissione dei vari responsabili si è talora persa traccia dei contatti e quindi dei possibili contagi. In questo caso le cose sembrano andare meglio: in Toscana, ad esempio, è al lavoro una task force di centinaia di giovani addetti a questa delicata funzione.

Ultimo indizio: sembra che negli ultimi mesi del 2019 e nei primi due mesi del 2020 vi sia stata una minore mortalità in tutta Italia e che tanti anziani siano stati “risparmiati” dall’influenza stagionale; questo avrebbe portato all’accumulo nella popolazione di un serbatoio di persone potenzialmente fragili che sono state poi interessate dall’epidemia e sono morte per prime, prima dei “polipatologici”.