Home CARLO PELLEGRINI Vannino Chiti, “Stati Uniti in prima linea per fare fronte al riscaldamento...

Vannino Chiti, “Stati Uniti in prima linea per fare fronte al riscaldamento climatico | intervista di Carlo Pellegrini

Joe Biden è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.

L’ex vice presidente del Senato, Vannino Chiti, ha garantito una preziosa disponibilità a esprimere una sua valutazione circa i potenziali contenuti della nuova presidenza statunitense.

 

D.A suo parere, quali saranno i contenuti della politica del nuovo presidente Joe Biden?
R.Penso che Biden si collocherà in continuità almeno nel metodo di governo con la presidenza Obama. Del resto in quegli otto anni era vicepresidente. Applicherà un approccio multilaterale alla politica estera anziché procedere a colpi di unilateralismi che hanno creato sfiducia tra alleati e assenza dell’Occidente democratico in aree cruciali del mondo. Si impegnerà a riunificare gli Stati Uniti. Trump è stato devastante: altro che first America! Ha fatto diventare le differenze contrapposizioni, divisioni laceranti. Infine ritengo che Biden ricostruirà un rapporto corretto negli equilibri che fondano il funzionamento della democrazia americana. Il comportamento di Trump è gli ostacoli che ha posto alla transizione dei poteri mette in evidenza quanto c’è ne sia bisogno. L’OSCE lo ha accusato di abuso di potere. Senza ricreare un clima di normalità sarebbe impossibile rilanciare lo sviluppo, affrontare le sfide dell’epidemia sanitaria o del clima.

 

D.Rispetto all’imposizione politica trampiana quali saranno le variazioni che adotterà Joe Biden nei rapporti fra USA da un lato e Italia e Cina dall’altro? E nell’ambito dei diritti civili segnatamente in merito all’antirazzismo?
R.Il confronto con la Cina continuerà a rappresentare la questione centrale per la politica degli Stati Uniti. Il problema è il come si affronta. Con stop and go, con brusche rotture e improvvise intese, senza coinvolgere gli altri, in primo luogo l’Unione Europea oppure con un’azione strategica condivisa e senza improvvisazioni? Con la Cina abbiamo bisogno di un confronto non subalterno, che non si proponga l’impossibile e cioè un irrealistico blocco della globalizzazione ma un suo governo democratico: l’Occidente deve assumere l’obiettivo di dare equilibrio, reciprocità di convenienze e vantaggi alla cooperazione economica e al tempo stesso di costruire opportunità di crescita per i paesi meno sviluppati, finalità di riduzione e superamento delle povertà. Essere insomma noi protagonisti di una visione e progetto per il mondo, assumendo in questo contesto il tema irrinunciabile dei diritti umani. Kissinger, non certo simpatizzante per il partito democratico, ha detto di recente che un approccio nevrotico, ambiguo, ondivago (le parole per sintetizzare sono mie, ma questo era il senso della sua intervista) ai rapporti con la Cina rischia di portare a una guerra. Nel nostro tempo uno scontro militare tra giganti potrebbe portare alla distruzione del pianeta. È da evitare “senza se e senza ma”. Per l’Italia non ritengo che ci saranno particolari cambiamenti. Le relazioni con gli Usa sono consolidate e stabili. I cambiamenti devono riguardare i rapporti con l’Unione Europea. Trump ha sostenuto con parole e atti la disgregazione dell’Unione, è diventato un avversario. Una posizione che ha indebolito l’Occidente. Se non realizziamo una democrazia federale l’Europa si incamminerà su una via di declino. Quello è il nostro obiettivo di fondo. Conviene anche agli Usa altrimenti si affermerà nell’area del Mediterraneo un’egemonia della Russia e in parte della stessa Turchia. Quindi la nostra strada non ha alternative: è quella della democrazia federale, ispirandoci in modo significativo all’esperienza della democrazia statunitense. E lo faremo, dobbiamo farlo, meglio se anche con la condivisione e il sostegno degli Stati Uniti, un nostro alleato fondamentale. In ogni caso trattandosi del nostro destino, del nostro futuro non è una condizione il via libera di altri. Sono i cittadini europei, loro soltanto, a decidere.

 

D.Ritiene che la presidenza Biden potrà fornire una risposta adeguata alla gravissima pandemia da covid 19?
R.Colloco qui anche una considerazione sull’impegno contro il razzismo. Biden e il partito democratico l’assumeranno pienamente. Lo richiede la società americana nella sua maggioranza. Lo abbiamo visto nelle grandi manifestazioni che si sono avute nei mesi scorsi per i diritti civili. È Trump che ha rappresentato e sollecitato spinte estremistiche e spesso violente di un primatismo bianco. Come ho già detto queste fratture hanno indebolito e paralizzato gli Stati Uniti. L’epidemia covid 19 ha devastato il Paese: mentre rispondo alle sue domande i morti sono più di 250000 e il numero dei contagi è spaventoso. Trump non ha saputo né voluto affrontare l’epidemia, l’ha sottovalutata: il colpo ricevuto dagli Stati Uniti è simile a quello che può subire una nazione in via di sviluppo. Gli Stati Uniti sono però la nazione più potente al mondo. Biden ha mostrato di voler cambiare strada. Quello del covid è stato il primo problema che ha affrontato: ha insediato un comitato di esperti, ha sottolineato la necessità e l’obbligo delle misure di prevenzione, dal distanziamento alle mascherine, ha assunto la determinazione della gratuità del vaccino per la popolazione. Per gli Stati Uniti questa decisione è fondamentale: non esistono un modello pubblico di sanità come da noi né garanzie sociali come la cassa integrazione o interventi di sostegno come conosciamo in Europa nelle crisi economiche. Scaricare sui cittadini americani il costo del vaccino, nella grave situazione causata ormai dall’epidemia, potrebbe minare l’estensione e l’efficacia dell’intervento sanitario. Si è dunque visto subito un cambiamento, un indirizzo opposto rispetto alla strada di improvvisazione superficiale seguita da Trump. Del resto ci sono immagini, messaggi che parlano da soli: Trump irrideva e si contrapponeva agli esperti, Biden ne ha fatto interlocutori e riferimenti fondamentali.

 

D.Secondo lei, gli USA riprenderanno una politica attiva e impegnativa nella difesa della terra e nella riduzione del riscaldamento globale?
R.Biden aveva già dichiarato, in piena campagna elettorale che, se eletto, avrebbe riportato gli Stati Uniti a sottoscrivere l’accordo di Parigi per fare fronte al riscaldamento climatico. Gli Stati Uniti di Obama furono tra i protagonisti di quegli impegni, importanti ma ritenuti insufficienti dalla comunità scientifica: Trump con le sue impostazioni unilaterali e con le sue visioni populiste e prive di qualsiasi sensibilità ecologica se ne era brutalmente distaccato. Stesso comportamento seguito rispetto all’accordo con l’Iran sul nucleare e così oggi ci troviamo a fare i conti non con un uso controllato dalle agenzie internazionali del nucleare civile da parte dell’Iran ma con un percorso che probabilmente aumenterà in modo ufficiale il numero delle potenze militari dotate di armi atomiche. La crisi ecologica è diventata una discriminante nella coscienza di tanti. Almeno tre epidemie nell’arco di vent’anni contribuiscono a mettere in evidenza che non ci troviamo di fronte a un settore di rilievo ma alla priorità delle priorità, da affrontare insieme perché condiziona tutto il resto: la nostra vita, la salute, lo sviluppo, il lavoro, le comunicazioni. È il futuro non solo nostro ma per le generazioni che verranno. Infatti i movimenti dei giovani lo hanno compreso in tutto il mondo. La recente enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti” ci ricorda che senza un impegno comune dell’umanità non si vincono le sfide di questa nuova epoca: la dignità di ogni persona e della sua vita da assicurare ovunque, uno sviluppo che realizzi la giustizia sociale ed ecologica, la paziente costruzione della pace. Senza fraternità e amicizia sociale, senza sentire l’umanità come un’unica famiglia, si impoveriscono e scompaiono anche la libertà e l’uguaglianza. Sul piano politico questa impostazione richiede un impegno delle nazioni e un di più di responsabilità da parte di quelle più grandi e potenti. Gli Stati Uniti non possono restare fuori da questo sforzo collettivo, altrimenti si vanifica e non si raggiungono gli obiettivi. Con Trump gli Usa erano assenti: con Biden, come prima con Obama, riprenderanno il loro posto nel concerto delle nazioni. Stati Uniti e Unione Europea saranno leader in questa rivoluzione ecologica dello sviluppo, urgente e necessaria, come dovranno esserlo per dare un governo democratico alla globalizzazione e per realizzare relazioni di pace tra i popoli, ponendo fine ai tanti conflitti che insanguinano il pianeta e dando un alta quella nuova corsa al riarmo intrapresa da Putin e Trump. Questa è la mia convinzione e, se vuole, la mia speranza.