Home TRA FINZIONE E REALTA' FABRIZIO MARI La vacca di nonna | Fabrizio Mari

La vacca di nonna | Fabrizio Mari

A Vellano, quel pomeriggio del giugno 1923, nessuno della mia famiglia era in casa. Forse fuori, sdraiato svogliatamente su una balla sudicia accanto al forno dove bisnonna cuoceva il pane, c’era soltanto Puk, il gatto nerissimo come la pece, cui nonna era attaccatissimo come i ciuffi di parietaria attaccati ai muri, e credo pure qualche gallina uscita dal pollaio, che era proprio sotto casa, lì vicino alla bozzina in pietra serena scolpita dal mio bisnonno, dove si lavavano i cenci. Quella che poi sarebbe diventata la mia adorata nonna era quel giorno sopra un ciliegio insieme con la sua amichetta del cuore, Frida, che aveva certi occhi azzurri che decenni dopo avrebbero fatto perdere la testa a più di un giovane vellanese.

Tutte queste notizie le so perché nonna, che all’epoca aveva dieci anni, me le ha raccontate a veglia una sera, che già si stava di casa giù agli Alberghi, sulla via che porta al cimitero, e si era, non ricordo perché, lei ed io da soli, e volle fare le frugiate, che a me piacciono parecchio, in un tardo pomeriggio di novembre che fuori pioveva che sembrava venissero giù il cielo e tutte le stelle. Non so dove fossero i miei genitori ed il mio fratello grande. Forse a cena dalla cugina di mamma o forse da quella di babbo. Fatto sta che non so perché mi lasciarono a casa con nonna. Forse lei stava poco bene. Nonna soffriva un poco di cuore, ma era nonna, e se l’avessero chiamata quella sera stessa per una crociera in mezzo al mare, state pur certi che l’avreste vista sul ponte della nave a farsi agitare i capelli al vento. Nonna era fantastica. Averne di nonne così.

Non mi posso ricordare tutto di quella sera. Comunque andò tutto bene. È stata una delle serate più belle che abbia mai passato con nonna. E lei, mentre controllava la cottura delle castagne sul fuoco, annaffiandole via via con generose bicchierate di vino rosso, mi raccontò cosa accadde quel pomeriggio del giugno 1923.

Lei, come ho detto, aveva dieci anni. Ed era sul ciliegio con la sua amichetta Frida.

Nonna era una tipa sveglia, pure troppo, ed aveva un’intelligenza non comune e sapeva assai il fatto suo. Anche a dieci anni. Questo me lo hanno confermato tutti quelli che l’hanno conosciuta. Nonna sapeva cosa dire al momento giusto, una qualità che credo di avere ereditato da lei. Non la coglievi mai impreparata.

Ebbene, quel pomeriggio del giugno 1923, mentre Frida e nonna erano impegnate a cogliere le ciliegie, che erano grosse che parevano rossi chicchi di grandine, un gruppo di giovanotti – che avranno avuto una venticinquina di anni, giù di lì, – saliva su per il poggio, dirigendosi verso casa di nonna, brandendo certe frullane e certe falci che c’era da aver paura. Ricordo che nonna, togliendo un attimo le castagne dal fuoco, mi guardò seria e mi disse che lì, nonostante fosse sopra un ciliegio, capì per la prima volta in vita sua cosa volesse dire aver paura. E con lei c’era la Frida, che era più paurosa di nonna, ed aveva gli occhi più belli di Vellano.

Nonna, rimettendo le castagne sul fuoco, mi disse: “Erano quegli stupidi fascisti! Li conoscevo tutti per nome e cognome, come conoscevo i loro genitori e pure i loro fratelli e le loro sorelle”. Mi fece effetto che nonna a quasi novant’anni parlasse così, ma ecco perché mi son messo qui a scrivere questa storia che la riguarda.

Nonna continuava a rigirare le castagne sul fuoco e non smetteva di parlare di quello che accadde quel giorno. Frida e nonna erano sempre sul ciliegio e vedevano quei rozzi piercoli che si dirigevano verso casa nostra. Fu un attimo, mi disse nonna, strizzando le castagne roventi dentro un canovaccio di canapa immacolato.

Si asciugò la fronte col dorso della mano e bevve un bel bicchiere di vino rosso che faceva suo fratello. Si fermò e principiò a dirmi cosa accadde dopo. Frida e nonna erano sempre sul ciliegio, in attesa. Quei ragazzotti – ma nonna disse un’altra parola che inizia con la “c” e finisce con la “i” – entrarono nella nostra stalla facendo un chiasso orribile e dopo poco uscirono che tenevano la nostra vacca Nerina al guinzaglio, come fosse un canino. Lo dico qui per la prima volta. Quella bambina di dieci anni che poi sarebbe diventata la mia splendida nonna urlò contro di loro orribili bestemmie, facendo pure i nomi ed i cognomi di quei bastardi che ci rubarono la vacca Nerina.

Non so come finì quella storia. Credo di aver capito che quei vigliacchi bastardi non furono nemmeno condannati e così noi ci rimettemmo la Nerina, che era la vacca preferita di nonna. O meglio, di quella splendida bambina di dieci anni che poi sarebbe diventata decenni dopo mia nonna.

Fuori continuava a piovere, nonna ed io mangiammo di gusto le frugiate e finimmo mezzo litro di vino. Beh, lei aveva oltre novant’anni, mentre io nemmeno quindici, ma eravamo felici come due innamorati. Queste erano le serate trascorse con nonna.