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Il mio mese | Franco Corsetti

Si avvicina novembre, il mese della mia nascita: sarà per questo che il mio pessimismo è così ben sviluppato tanto da portarmi “a spasso” come si fa con un cagnolino? Sarà così. Effettivamente, io lo trovo un buon compagno come un caro, vecchio amico anche perché è uno dei pochi scudi rimasti per contrastare, se non combattere, una realtà che si fa sempre più amara e senza via d’uscita. Novembre, forse, non è così come lo descrivo; è un mese come un altro, inventati – quelli – per calcolare l’età che, agli inizi, pretenderemmo corresse e, ad un certo punto, vorremmo che rallentasse, se non si potesse fermare. Certo, chi nasce in primavera; meglio, in estate, sembra che abbia più vantaggi.

Quei pochi, veri amici che ho, i più espansivi ed ottimisti incarnano bene le qualità che la bella stagione ci fa conoscere. Ovviamente, non è una regola; e, se non lo fosse, come tutte, avrebbe le sue eccezioni. Non so, e non ne faccio un dramma; sono tantissime le faccettature ma, appena nato, i timbri del giorno, del mese e dell’anno ti faranno compagnia finchè non verranno ritirati. Tempi duri, in questo novembre. Mi aggrappo, un pochino, al mio Leopardi, e sicuramente la speranza non migliora. In più, chi ha una certa età, sa bene come i vecchi giudicavano coloro che troppo speravano: avevano, sì o no, ragione? Certo, tutto vero, ma se togli la speranza, che ci resta? Un presente fosco, un futuro indecifrabile, un caos fuori e dentro. L’umanità ha questo: la Storia che si ripete, e che niente – purtroppo – ci insegna. Stiamo vivendo un altro periodo di crisi tanto da ritrovarci in un Alto Medioevo, con gli Unni tra noi. Ma non con asce e spade, bensì con altri strumenti, già sofisticati ma non per questo meno crudeli e micidiali.

Sembra, così, di ripetere quel passato, così chiamato per comodità degli storici, e che possedeva due anime: quella dopo la caduta dell’Impero Romano, con lo sgretolarsi dello stesso; e quello della “rinascita” dei piccoli centri e di un’economia di poco raggio, locale, che poi sfocerà nel vero Rinascimento. Questo mio è solo un modesto, superficiale accostamento a quanto sta accadendo ora, con quella nuvola nera sopra tutti, e che demoralizza e impaurisce i più deboli e fragili. E’ novembre, e questo “malessere” non fa che aumentare il mio pessimismo. Un mese senza slanci, anonimo – mi pare – e di poca fortuna, anche. Ricordo l’alluvione di Firenze nel 1966, il 4, e il ripetersi di brutte giornate quasi tutti gli anni. Sarà anche per questo che il mio umore, e il briciolo d’ottimismo, scende sotto i tacchi, anche quelli degli scarponcelli che calzo la mattina verso le sei e mezzo per la mia passeggiata tra gli olivi. Beh, almeno salvo quelli; è tempo di raccolta, e quest’anno sembra tutto vada bene; anche la “famigerata” mosca non si è fatta viva, e così ci potremmo godere un po’ d’olio fatto in casa.

E’ tempo di castagne, e poche saranno quelle colte qui da noi, alle pendici dei boschi di quel di Villa Basilica: i raccoglitori, quelli che amavano il bosco che facevano i nostri avi, sono sempre meno sempre meno maturi. Certo, così il mio orizzonte appare meno chiaro anche grazie a questo clima, umido e piovoso. Forse sono un “meopata”, una parola strana che significa farsi condizionare dal tempo. Mah! Certamente, quando il sole brilla, la temperatura va su e calzo gli zoccoli, e la mia storia (ma credo quella di tutti) ha un altro andamento. Qualche amico mi ha detto che soffre il caldo, e preferirebbe che temperatura e sole non raggiungessero alti livelli. Io controbatto secondo il mio punto di vista. Innanzitutto, d’estate bastano un paio di calzoncini e una fruit, e sei a posto. Un paio di occhiali da sole per difendersi da quella luce che già all’alba è di uno splendore invitante, e saluti al mondo. Infine, chi lo soffre, il caldo, sta poco bene per due mesi al massimo. E io, invece? Io sto bene due mesi, e gli altri otto, o dieci? Quasi imbacuccato, partendo dalla maglia; poi, il giacchetto, poi il cappotto e, se non bastasse, sciarpa e guanti. Mi muovo, ovviamente con difficoltà, e credo che qualcuno mi possa capire…

E’ novembre, il mio mese di nascita, e anche quello del mio carissimo amico Lucio – my very good friend, mi scrisse -, al quale hanno consegnato quel biglietto di sola andata. Eppure, lui era ottimista, energico, pieno d’iniziative, e parlava sempre del futuro. Ma come mai suo figlio Stefano mi ha detto che ha portato con sé tanti misteri? Misteri che, ripensandoci – in effetti – li ho riscontrati anch’io: e a chi chiedo, ora, quei brani della mia vita che mi pongono ancora tanti interrogativi? Forse, novembre è anche un modo di essere, di vivere. A volte, quella malinconia, che si trasforma in nostalgia, mi prende dentro, e mi riporta a tempi più belli, più piacevoli, più giovani. Allora, non ero pessimista? Ricordi che ancora mi riscaldano,e che cerco di rivivere con la mente e con lo spirito, e che m’importava della brutta stagione? Ma Leopardi, come sempre, si fa vivo dentro di me, pretende la sua parte di pessimismo cosmico, oramai anche lui un piccolo grande amico. E Dante? Nei tempi peggiori si fa largo in momenti duri, e mi rammenta che c’è una giustizia Superiore, anche se lui si perse in “una selva oscura che la dritta via era smarrita”.

Ed ebbe però il coraggio di riconoscere, durante la battaglia di Campaldino dell’11 giugno 1289 tra Guelfi fiorentini e Ghibellini aretini, lui, come fedato, cavaliere di prima linea, provò tanta tanta paura, come scrisse, e come mi ha ricordato il caro Mario Biagioni, ovviamente aretino D.O.C.G. Nonostante questo, non volle ritornare a Firenze, dimostrando carattere, grinta e coerenza, e Firenze non lo meritava, e non lo merita neanche oggi. D’altronde non abbiamo più le spalle dei nostri nonni, degli avi, che affrontarono le avversità e le ingiustizie sì con rassegnazione ma con un’onestà e un coraggio che oggi abbiamo perso. Siamo diventati pusillanimi; anche un raffreddore è quasi insopportabile nella martellante pretesa di essere sempre più belli, più sani, più comodi, dimostrando un egoismo e una superficialità che non ci fanno onore perché ci hanno fatto credere di essere immortali!

Solo la cultura ci farebbe diversi e migliori, ma dove sono i maestri, i portatori- trasmettitori dello studio del passato, e dei progetti e dei programmi del futuro se è vero che i record vanno battuti, le statistiche aggiornate e la Storia riscritta? Ne è passato di tempo dall’abaco, antico pallottoliere per far di conto, e il libretto dove s’imparavano i primi elementi d’Aritmetica. Io sono rimasto alla calcolatrice e alla telescrivente, figuriamoci! Oggi, basta un cellulare – o come si chiama – qualsiasi per darti quasi tutte le risposte che ti vengo no chieste, non la tua mente. E la geografica, una delle materie più simpatiche e proficue per i tuoi spostamenti ormai non solo nazionali, che fine ha fatto? C’è il Tom-Tom, dicono: non ti vorrai mica perdere nel tentare di conoscere almeno i punti cardinali! Lo stesso per la Storia: basta digitare una data, e tutto (sic!) conoscerai di ciò che è successo.

Come, e perché, non interessa. Come non interessa la Grande Letteratura, “ripescata” in occasioni e situazioni che ci fanno paura: basta citare, che so, un “untore”, e credere di conoscere il Manzoni. Eh, si: questo mese, questa fine dell’autunno, mi ricorda altri tipi di ricorrenze che di allegrezza ne hanno poco. Consoliamoci con la raccolta delle olive e con le castagne che erano, non molto tempo fa la ricchezza della gente che viveva in colline e in montagna, gente semplice che si contentava di poco, quasi di nulla. Ormai siamo ricchi, dicono (o dicevano?), ma non vedo volti sorridenti, e ricasco nel mio pessimismo. E’ un cane che si morde la coda, lo so, ma non posso farci niente. Vorrei, comunque, chiarire che , quando vede facce che sorridono, soprattutto giovani, mi si allarga il cuore, e le ammiro e le invidio pacatamente. Così come la politica, che non mi dice niente perché “non amo le persone che sono insensibili alla verità”.

Tra poco festeggerò (?), alla mia maniera, come un giorno qualsiasi, il genetliaco, uno dei tanti, e non mi vergogno dell’età che porto. So che la speranza è buona come prima colazione, diceva Francis Bacon, ma è una pessima cena: sarà vero? Mi consolo con un’ultima citazione, che dovrebbe essere tesoro di tutti: “Dopo di me, vivrà il mondo. Chissà se altri guarderà questi colli e il mare col mio stesso sguardo e, senza saperlo, mi ricorderà”.

Buon compleanno a tutti i novembrini per un attimo di serenità con un briciolo di felicità.