Scrivo a poche ore dall’uscita di un’ordinanza che, in cinque regioni, impone l’uso della mascherina anche all’aperto. Una è la Campania dello “sceriffo” De Luca, che nei giorni del lockdown faceva parlare di sé per i suoi comunicati stampa dal linguaggio colorito, un’altra è la Calabria della governatrice Santelli, che l’ha seguito a ruota. Eppure, non si ha la sensazione che si tratti solo di misure destinate a far parlare del personaggio in cerca di popolarità e consensi, quanto piuttosto che si siano rese necessarie per un improvviso balzo in salita nei contagi, in regioni che invece nei mesi scorsi avevano retto bene l’assalto pandemico. La Toscana per il momento non ha preso analoghi provvedimenti, ma poiché anche i sindaci possono decidere di emettere ordinanze restrittive può darsi che anche nella nostra città, nei prossimi giorni, dovremo muoverci all’aperto indossando la mascherina. Fino a oggi come ci siamo comportati? L’osservazione dei comportamenti altrui, in questi mesi, è diventata una pratica quotidiana, quasi ossessiva, tanto che il colpo di tosse del vicino in fila alle casse del supermercato ci fa fare un passo all’indietro, quasi senza accorgercene.
Io vedo costantemente all’opera il paradosso per cui le stesse persone si muovono tra luoghi estremamente controllati e luoghi dove invece manca totalmente il rispetto delle tre regole base che la pandemia impone: mascherina, distanziamento e igiene delle mani. In particolare accade tra i ragazzi, che sono quelli che hanno vite più movimentate: frequentano scuola, locali, palestre, centri sportivi, molto più di quelli che si spostano tra casa e lavoro e hanno rinunciato con meno rimpianti alla cena o all’aperitivo con gli amici. Lo dico a ragion veduta, perché ci lavoro: se le regole di contrasto al Covid fossero applicate con lo stesso zelo con cui lo sono nella mia scuola il virus, probabilmente, ci darebbe partita vinta. Disinfettante a fiumi: mi capita, e capita agli studenti, di igienizzarmi le mani anche cinque o sei volte ogni mattina; vietati i luoghi di assembramento, la ricreazione si fa in classe, al banco. Uscite scaglionate, corridoi in cui le frecce a terra segnano il percorso da prendere, banchi distanziati, ridotte al minimo le riunioni in presenza: quando si può si lavora da remoto. Passato lo straniamento dei primi giorni, la sensazione, confortante, che resta addosso, è quella della sicurezza. E la certezza di lavorare con persone scrupolose, che hanno pensato al bene dei ragazzi e degli operatori della scuola. Poi però varco i cancelli del mio istituto e cosa vedo? Frotte di adolescenti senza mascherina, che camminano uno accanto all’altro, salgono su pullman affollati e si comportano insomma come se il virus non circolasse più. Mi raccontano di serate – la cosiddetta “movida”, termine-tormentone – in cui di mascherine non si vede nemmeno l’ombra, e anche se le discoteche sono chiuse gli assembramenti si fanno lo stesso, nelle strade, nelle piazze, fuori dai bar.
Quali sono i motivi per cui i più giovani la indossano malvolentieri? Viene da pensare che non si tratti soltanto dell’indubbio fastidio che genera l’avere un panno di cotone sul viso, che impedisce di respirare bene, rovina il trucco alle ragazze e spesso non fa sentire bene cosa dicono gli interlocutori. Io credo che spesso ci sia in gioco anche l’antica voglia di ribellarsi alle regole che condiziona tutta l’adolescenza, e ha condizionato noi quando andavamo in giro in due in motorino e senza casco, o facevamo cose stupide e pericolose, sentendoci invincibili e immortali. Il punto è che forse non è ancora del tutto chiaro il nodo centrale della questione Covid. I comportamenti virtuosi non proteggono solo noi, e per noi intendo quelli sani, quelli giovani, quelli che ragionevolmente possono aspettarsi, ora che la si conosce di più, di superare senza grossi danni questa malattia così subdola; proteggono soprattutto le persone più fragili che fanno parte della nostra vita, i nostri anziani, i malati, quelli che pur non uscendo quasi mai se la vedrebbero recapitare a casa attraverso un abbraccio o un bacio, dati dal nipote che il giorno prima ha incontrato gli amici per una birra. Ci sono poi anche quelli che negano l’esistenza stessa della malattia, o pensano che si tratti di un complotto mondiale per terrorizzare la gente; meno male ne ho incontrati pochissimi esemplari vivi. Se mi accadesse di nuovo direi loro che è facile fare i negazionisti con i nonni degli altri.
Io lo ripeto tutti i giorni, fino alla noia: ormai “Mettetevi la mascherina” è diventato il nuovo “Fate i compiti per la prossima volta”. Ma se i ragazzi lo fanno diligentemente entro i confini della scuola, spesso li vedo che se la tolgono fatto il primo passo fuori. Dove non ho più un ruolo, e dove la mia voce si perde tra tante altre voci, che invitano spesso a fare il contrario.