Di nonna, che fin da piccolo diceva che avrei dovuto sposarmi una che avesse terreni arativi o boschi o, in mancanza d’altro, paludi e campi sterili – che magari avrebbero fruttato in un futuro più o meno lontano – ho un ricordo netto e preciso. Io l’ascoltavo, perché nonna era nonna, qualsiasi cosa dicesse. Si arrabbiava se non veniva ascoltata. Era fatta così, ed io la adoravo per questo. Io, poi, ero il suo nipote preferito, mentre quelle due streghe delle mie sorelle non le sopportava proprio, tanto erano esose. Non è che col tempo, poi, i rapporti siano migliorati, anzi.
Siamo cresciuti tutti, ma non tutti però siamo diventati diritti. Ognuno ha preso la propria strada; ogni tanto siamo caduti; a volte ci sono state alcune discese, altre volte ripide salite; io sono caduto parecchie volte e mi sono fatto anche piuttosto male; le mie sorelle sono cadute molto meno di me, i nostri genitori sono stati sempre presenti, come pure le cugine di mamma e babbo, che vorrei un giorno farvi conoscere, talmente sono state e sono tuttora meravigliose, che non basterebbe un’agenda di quelle che ti regala la banca a fine anno per descriverle.
Nonostante le mie sorelle abbiano fatto una certa carriera sia in società sia in famiglia, a nonna continuano a non piacere. E sai, a nonna quando le stai sulle scatole non c’è cosa che tenga. È fatta così. Non chiedetemi se le mie sorelle mi stanno simpatiche. Sono pur sempre sangue del mio sangue – si dice così, no? –, e almeno quando siamo tutti stretti a tavola, per fortuna poche volte in dodici mesi – perché tutti abbiamo impegni più gravosi – mi sforzo di essere gentile con loro e parlo coi loro mariti, fingendo di essere interessato a quel che dicono, che quasi mi scordo per un attimo di essere loro fratello.
Dirò ora una cosa orribile, lo so, ma se dovessero morire, che so, mentre vanno all’outlet per riempire gli armadi e svuotare il cervello, beh, andrei al loro funerale, che diamine – sono pur sempre mie sorelle! –, ma mi farebbe fatica fare come quei fratelli inconsolabili che stampano su una menata di quanto fossero brave, solari, gentili, che salutavano tutti i vicini e tutto il resto. Lo so bene che sono cose che non dovrebbero uscire da una bocca di un decente cristiano.
Se morissero le mie sorelle farei una piccola scenetta drammatica davanti a tutti, abbraccerei i miei genitori – che sarebbero giustamente inconsolabili – poi andrei da quei due stupidi dei miei cognati, uno più cretino di quell’altro, nonostante la loro illustre carriera. Certo che Iddio davvero mi ha voluto bene: due cognati, entrambi più giovani di me: uno fa il tecnico radiologo e l’altro insegna fisica, non quella che si fa in tuta e si suda come capre, ma la fisica fisica, cioè Galilei, Fermi, il moto accelerato, la pallina sull’autobus, la fissione dell’atomo, insomma, quelle robe lì. Che poi non sarebbero nemmeno inutili, quanto meno farebbe più colpo su una ragazza che sapere quando è morto il Foscolo, ma al pensiero che il mio cognato sfigato stia lì ad insegnare a studenti, ecco, mi viene voglia di fermarmi al primo anno di scuola primaria oppure a denunciarmi come analfabeta ed illetterato. Sono fatto come nonna, anche se a lei questa cosa non va detta, perché si arrabbierebbe.
Sono convinto di essere fatto della stessa sostanza di nonna. Lei non è andata ai matrimoni delle mie sorelle e nemmeno io. Ecco cosa vuol dire avere un amico farmacista. Trentanove di febbre in entrambi i casi e principio di deliri mistici, che chiaramente mi hanno evitato di vedere le mie sorelle sposarsi con due conclamati ebeti, seppure laureati. Come me, ma la differenza è che io rimango normale e a tratti mi nascondo, non per vergogna, ma perché non vedo niente di eccezionale in quello che ho fatto. Basta saper leggere, ricordarsi quello che si è letto e si fa l’esame.
“Non mi interessa vedere certa gente e poi a dirtela tutta le tue figliole non mi stanno simpatiche”, così disse nonna a mia mamma, cioè a sua figlia, quando le fu dato il biglietto di invito per il matrimonio di una di quelle due. Per fortuna ho evitato il discorso con mamma, perché ero in uno stato di delirio forzato dal mio amico farmacista.
Nonna quando parlava con le mie sorelle o con i miei cognati, senza farsi vedere, si toglieva il minuscolo apparecchio che aveva dentro le orecchie e stava lì a giornate a divertirsi. Potevano dire qualsiasi cosa, bella o brutta che fosse, noiosa o allegra, quelle due boccalone, cercando di impressionare nonna, credendo di averla in pugno, ma dovevate vedere l’allegra sua faccia tutta grinze che annuiva, sorda come una campana, a quelle storie che fingeva di ascoltare. Dalla formazione dei cirrocumuli nel periodo estivo alla fioritura delle camelie, dalla nascita della repubblica in Irlanda alla struttura chimica dell’ammoniaca, anche i cognati facevano a gara a quante cose utilissime potevano dispensare in così breve tempo. Nonna se ne stava tranquilla sulla sua poltrona e completamente sorda faceva con la testa ora sì ora no oppure emetteva grandi sospiri o se no, se le mie sorelle ridevano, rideva pure lei, o se si incupivano si incupiva pure lei e faceva una faccina tutta smunta e triste che avreste creduto fosse davvero dispiaciuta.
Il bello è che le mie sorelle ed i miei cognati pensavano di infinocchiare nonna con tutti i loro discorsoni, mentre non passava per il loro striminzito cervello il fatto che nonna fosse assai più smaliziata di loro. Quando poi se ne andavano, nonna con un fulmineo gesto si rimetteva l’apparecchio alle orecchie e mi faceva chiamare e stava tutto il pomeriggio con me a giocare a briscola, che era il suo gioco preferito. Poi voleva che le preparassi un tè nerissimo e così beata se ne andava a letto prima che i miei genitori rientrassero a casa. Era il suo sottile modo per dire che era contenta così e non aveva bisogno di altro. Ah, che donna splendida è stata nonna!