Di lei sapeva soltanto il nome, Patrizia, e che era bellissima. Una di quelle bellezze che ti salgono su dritte al cervello, lasciandoti addosso una sensazione di calma inquietudine. Una bellezza per nulla banale che vorresti tenere stretta perché ti offre dolcezza e perché sai che senza ti sentiresti come una sperduta barchetta in mezzo al mare. E che tocca a te non farla andare via.
Tutti noi abbiamo un cuore infiammato in cerca di amore. Lui avvertiva, ma non sapeva per quale motivo, che quello di Patrizia era differente. A volte però sfuggiva quegli occhi incantevoli che ogni mattina sfiorava come fa il vento quando soffia facendo poco rumore sopra un prato di giunchiglie, ma poi quegli occhi si inchiodavano nella sua mente come certe pubblicità sui muri e lui non poteva annullare quella mirabile visione. Capiva che una mattina senza vedere quegli occhi e senza assaporare quelle sensazioni era una mattina inutile, meglio che non fosse mai esistita. Lui saliva sul pullman e non poteva togliersi di dosso il volto di lei che vedeva ovunque, perfino riprodotto in minuscole immagini sulle sue braccia. E si scopriva felice come mai era stato. E però era, allo stesso tempo, disarmato. Avrebbe voluto perdere le sue mani tra quei capelli e nuotare libero tra quegli occhi.
Tutto era cominciato nei primi mesi autunnali di qualche anno fa. Forse era il 2018. Lui prendeva l’autobus ogni mattina vicino casa alle sei e mezza perché la sua vecchia Punto aveva deciso di non partire. Lui la prese con calma perché non era il caso di arrabbiarsi se una vecchia automobile voleva riposarsi un pochino. Alzava le spalle mentre si diceva questo ad alta voce. Lui sapeva che riposarsi faceva bene allo spirito e pure al corpo. In seguito dovette ringraziare la sua vecchia Punto perché quel piccolo incidente di percorso gli aveva fatto incontrare Patrizia, che ogni mattina alle sei era fuori col suo cane, bellissima pure lei.
Erano due anime limpide, come l’acqua che sgorga da una fonte inaccessibile in montagna. Lui era felice, perché in una manciata di minuti, il tempo di percorrere un giardinetto in solitaria e poi andare alla fermata dell’autobus, poteva ammirare quanto Iddio fosse stato gentile con quelle due splendide anime, che era come vedere due stelle luminosissime in un cielo che minacciava pioggia e tempesta.
Lui era felice quando vedeva Patrizia insieme con il suo cane. E capiva che quel momento prima della luce del giorno era e doveva rimanere tutto per loro. Era lì che loro due avrebbero voluto stare per sempre, perché si intuiva che tra Patrizia ed il suo cane v’era un filo di acciaio che li teneva avvinti come il seme di grano alla terra o la federa al guanciale e che nessuno poteva recidere. E fu lì che lui, in punta di piedi, una mattina, entrò.
Si fece coraggio, strinse i pugni, accelerò il passo in quell’ora antelucana monsummanese, pronto ad avvicinarsi a quegli occhi, che erano tra il verde ed il grigio, tutti uniti a raccogliere quello che lui diceva a sé stesso “il colore degli occhi di Patrizia”. Lui non era molto abituato ad incontrare donne di siffatta bellezza. Quasi se ne vergognava, perché non era giovanissimo, sfiorava i cinquant’anni, e Patrizia poteva averne qualcuno di meno.
Ricordava le prime volte, quando la flebile luce della mattina incipiente prendeva il posto dell’oscurità della notte appena terminata, e lui accelerava i passi per vederla. Lui non poteva sostare molto in quel piccolo giardino perché l’urgenza del prendere l’autobus gli faceva per un attimo soltanto dimenticare la bellezza che di lì a poco avrebbe visto.
Ma quando per davvero, per la prima volta, si avvicinò per darle il buongiorno e per accarezzare il suo cane, ecco, lui provò un tremito strano, fu come stare di fronte al sole; si accorse che le gambe gli tremavano e che quegli occhi incuriositi lo stavano fin troppo indagando. Non le disse una parola quando se la vide di fronte e tirò dritto, sperando che un giorno prima o poi quegli occhi si sarebbero su di lui fermati un poco più a lungo.