Spesse volte la vita di un calciatore nasconde alcune particolarità che nessuno può minimamente immaginare da suscitare curiosità e interesse di molti.
E’ il caso di Vinicio Verza, calciatore di L.R. Vicenza, Juventus, Cesena, Milan, Verona e Como e volto celebre dell’Italia calcistica degli anni ’70 e ’80, che nel corso di questa intervista ci ha rivelato.
D. Verza, a circa trenta anni dalla chiusura col calcio cosa si sente di dire?
R. Sono orgoglioso di essere stato un protagonista di quello che ritenevo uno sport meraviglioso e privilegiato perchè sono riuscito a realizzare ciò a cui ambivo.
D. Quali differenze calcistiche ha notato al termine della sua encomiabile carriera rispetto agli inizi?
R. Il calcio è cambiato all’eccesso, se mentre agli inizi era il “gioco del calcio”, quindi divertimento, ora si riduce tutto ad un lavoro, dove prevale il lato economico e non più umano.
D. Ci parli un po’ della Juventus nella quale ha disputato ben quattro stagioni.
R. Ero un ragazzino diciannovenne tornato alla casa madre a far parte della squadra più blasonata e che oggi ritengo una delle più forti, ho avuto la gioia di condividere con persone meravigliose quattro anni fantastici con successi (due scudetti e una coppa Italia), gratificazioni personali (gol più bello dell’anno e gol dello scudetto a Napoli), ma anche privazioni, infortuni e poca possibilità di mettersi in mostra, in quanto quel team era composto da grandi calciatori. Ho imparato lo stile Juventus, unico tra le squadre italiane. Infine ho conosciuto e apprezzato persone che mi sono rimaste nel cuore come Scirea.
D. La sua carriera è costellata di vari successi. Quali ricorda con particolare interesse?
R. Sono stati tutti importanti, ma a livello personale ritengo che la promozione con il Milan sia indimenticabile, giocare a San Siro con quel pubblico meraviglioso (60.000 spettatori in serie B) faceva venire i brividi, ma la cosa più importante era come mi faceva sentire il pubblico, ero il loro idolo e questo, permettimi è impagabile.
D. Il 13 maggio 1979 con la maglia della Juventus fu autore di una dopppietta contro l’Avellino. Cosa accadde però in quella partita?
R. Dino Zoff si fece sostituire per concedere ad Alessandrelli la passerella prima di lasciare la Juventus, purtroppo coincise con una prestazione pessima della difesa e a pagarne le conseguenze fu proprio Alessandrelli, il quale subì in pochi minuti tre goals. La partita finì in parità.
D.Uno dei suoi celebri goal fu quello realizzato in occasione del derby Inter – Milan del 17 marzo 1985. Che ricordi ha?
R. Splendida partita, giocata ottimamente dalle due squadre, in quella stagione non ero ancora riuscito a realizzare alcuna rete, ma la provvidenza e Bergomi mi aiutarono, passaggio corto del difensore, pallonetto a Zenga e goal di testa, il tutto a cinque minuti dalla fine della partita. Boato, tifosi in delirio, abbracci, che meraviglia… Ancora oggi viene ricordata come una prodezza e ne sono entusiasta.
D. Durante la sua infanzia scrisse una lettera a Gianni Rivera per chiedegli la sua maglia. Ma come spesso accade questa lettera rimase nel cassetto. Tuttavia il suo parroco…
R. Ero bambino e avevo circa 10 anni, Don Mario Reita, mi regalò le prime scarpette da calcio (per intenderci quelle con i tacchetti di cuoio e chiodini) e mi disse: “Vinicio, tu un giorno indosserai la maglia di Rivera”, mai profezia fu più azzeccata. Quella maglia gli è stata donata. (Per alcune stagioni Verza ha indossato la maglia numero 10 appartenuta per tanti anni consecutivi a Gianni Rivera n.d.r.).
D. Quale allenatore ricorda con piacere e quale allenatore l’ha invece molto delusa?
R. Tutti gli allenatori che ho incontrato sono stati importanti sia nel bene che nel male, gli eventi negativi sono quelli che ti rinforzano e ti danno l’esperienza per cambiare e andare avanti. Gibì Fabbri era puro divertimento, Castagner è stato l’allenatore che mi ha di più valorizzato come giocatore, voleva che giocassi come ero capace, con le mie qualità, senza snaturare la mia personalità e fantasia, conosceva i miei pregi e difetti per questo mi soprannominava Vandenbosche (qualche volta, durante la partita mi imboscavo) o Penombra. Purtroppo non ho avuto ugual rapporto con Liedholm, con il quale si erano creati attriti per diversità caratteriali e di gestione, non mi sembra il caso di approfondire per rispetto della persona.
D. Nella sua carriera di calciatore professionista emerge un aneddoto indimenticabile? Può rivelarcelo?
R. Quando feci il goal dello scudetto a Napoli, andai a parlare con Boniperti il quale mi rassicurò sul mio rinnovo contrattuale, salvo dopo pochi giorni cedermi al Cesena in cambio di Bonini. Io accettai (obbligato) il trasferimento ma dissi a Boniperti che il mio ingaggio doveva corrispondere a quanto percepito il precedente anno, lui mi disse che se ci fossero state delle differenze me le avrebbe date personalmente. Avvenne che in una telefonata il presidente Lugaresi informò Boniperti della differenza che ci separava e riportò allo stesso quanto ci eravamo detti. Boniperti ammise che era vero che mi disse che mi dava qualcosa, ma ….. dei consigli.
D. Nel pensare alla sua carriera chi desidera ringraziare?
R. Nello sport che ho praticato non devo ringraziare nessuno, tutto quello che ho ottenuto è dovuto alle mie qualità, alla mia fantasia, non avevo santi in paradiso, ho coltivato le mie ambizioni, ho posto degli obiettivi e li ho realizzati, ho superato infortuni e pregiudizi. Nel contorno, ho il dovere di ringraziare chi mi ha dato la possibilità, compiendo sacrifici, di inseguire il mio fine (i miei genitori), chi mi è sempre stata a fianco nei momenti difficili, di tensioni, di ansie, nei successi e nelle sconfitte e che successivamente mi ha migliorato come uomo e mi ha donato una splendida famiglia (mia moglie), coloro che hanno creduto nelle mie qualità (Don Mario e Don Dante oltre che gli allenatori del settore giovanile della Juventus Viola e Grosso), ex compagni che mi hanno accolto come fossi il cucciolo da proteggere (Galli, Lelj, ma la lista è lunga) i tifosi che sono stati parte integrante dei miei successi e infine i pochi veri amici che non avevano secondi fini (Renato). Probabilmente ne dimentico altri e me ne scuso.