Sogno il mare. In questi tempi grigi, tristi, asfittici, è l’unica via d’uscita che mi rimane. Ho amato il mare da subito, avendo avuto la fortuna di conoscerlo poco più che bambino, insieme ai nonni, quando si potevano fare le vacanze affittando qualche stanza senza tante pretese: una cucina, due-tre camere, un bagno. E fu subito festa. La mattina, era quasi un trasloco, con nonna che si caricava di giocattoli, asciugami e merende, e già c’era quel felice vocìo degli altri ragazzini che si dirigevano verso quello che oggi lo considero il mitico El Dorado. Difficile controllare la frenesia, la voglia, il desiderio di affondare i piedi nella sabbia, nello strizzare gli occhi volgendoli al sole, nell’azzardare di tentare di bagnarsi nonostante le raccomandazioni di aspettare.
Era tutto azzurro: cielo, mare, età, fantasia e felicità. Sì, eravamo piccoli, ma ci sentivamo sereni perché il mondo che ci circondava ci proteggeva, e ci accompagnava con sicurezza nella nostra crescita. Spesso mi chiedo, ultimamente, come fa, questa umanità, ad essere così cattiva, indifferente, egoista, falsa, e dove e quando ha perso quei valori fondamentali della nostra civiltà: onestà, rispetto, semplicità. In una parola, quella comprensione che ci dovrebbe distinguere da coloro che venivano chiamate le “bestie”, gli animali: infatti, oggi è chiaro che le parti si sono invertite. Ma il mare, almeno quello, sembra rimasto uguale, anche a distanza di decenni; è cambiato l’involucro ma, per chi sa cercare, il contenuto sembra – comunque – lo stesso.
Quello è, e rimarrà, il luogo di vacanza che coinvolge maggiormente i giovani, e lo farà finchè questi continueranno a ragionare con la propria testa …, e un dubbio mi assale. Sì, perché si è giovani una sola volta, lo sappiamo tutti, purtroppo; poi, si scoprirà, più o meno lentamente, qualcosa dentro che entrerà a far parte della nostra vita: un sottile dispiacere. Volano, nel contempo, l’infanzia, la fanciullezza e la gioventù (Quant’è bella giovinezza …); gli anni spensierati, durante i quali s’incontrano un po’ di amarezze, qualche dolore, pizzichi di delusione. Ma tutto questo rimane in un angolo, sommerso dalla gioia di vivere, di divertirsi, di andare a trascorrere quelle vacanze senza preoccuparsi della rena che entra dappertutto, del sole troppo forte, della gente poco educata.
Sono – questi – i momenti più belli, anche sapendo che la villeggiatura finirà, e il ritmo quotidiano della vita riprenderà il sopravvento; da subito, ci sentiremo infastiditi nel ricominciare a studiare (qualcuno anche a lavorare), regola della nostra routine.
Poi, la maturità, non quella degli esami delle superiori, ma il diventar uomini e donne con una responsabilità che, pur conoscendola, ora assume aspetti più severi, togliendoti il brio che ti era stato compagno fino a poco prima. Ancora le vacanze, ma con una certa pacatezza che toglie il sapore dolce di quelle precedenti, aumentandone il retrogusto di sale. E’ rimasta la spiaggia, che sembra sempre la stessa, così come il mare, ma l’odore di salsedine, che prima t’inebriava, a volte lo scoprivi un po’ troppo forte. E il “Cocco”, cocco di mamma!”, dov’è finito? Sembra siano rimasti in pochi coloro che lo vendono rispetto agli anni passati, così come quelli che vendevano le brioche, ripiene di crema. Ma, forse, è solo una mia impressione, perché sono io quello che non la frequenta più anche se, certamente, qualcosa si stava trasformando così come succedeva a noi: niente sarà più simile a quello della prima volta, mai!
L’impatto peggiore è che queste innovazioni sono piombate su di noi troppo velocemente, soffocandoci, e lasciandoci storditi. Va bene, anche il mio passo si era leggermente rallentato, ma ciò che mi circondava ieri è sparito troppo rapidamente. Infatti, mi sono accorto che cominciava un altro periodo, un’altra era, assai diversi dai precedenti. Simultaneamente, ecco l’età delle scadenze, delle bollette, dei contratti e, zitto zitto, spuntava il vecchio adagio “Ogni giorno ce n’è una!” e, spesso, rischiava di essercene anche due. Il mare mi aveva dato tantissimo, da fanciullo e da giovane; una felicità che mi rallegrava al solo pensiero d’incontrarlo d’estate, e anche – se potevo – fare qualche strappo a fine primavera, inizio autunno.
Ecco: ora lo vedo più vicino all’autunno che nel solleone. Eppure, era luglio-agosto, la piena stagione. Che mi succedeva? Era spuntato, senza far rumore, quell’incerto malessere, quella sottile delusione che avevo trascurato perché impegnato a divertirmi, a vivere giorno per giorno, a sentire il mondo che mi circondava leggero e lieve e delicato, come un amico fraterno. Il mare, comunque, è bello anche a fine estate per tanti motivi. Meno gente, meno chiasso, meno sole. Certo, la sabbia era ancora dappertutto, e per questo cominciava a darmi fastidio: entrava e usciva per ogni dove tanto che, anche lei, segnava un passaggio d’età, la deriva dei sogni e dei desideri. Sfuma, infatti, quel forte, intenso, coinvolgente caldo che, seppur sfiancante, dava l’impronta alla bella stagione e – comunque – c’inebriava di fantasie e d’illusioni che rendevano il nostro spirito libero da restrizioni, obblighi, impegni. Era Viareggio, dintorni e colonie, la delizia dell’ultima generazione felice con poco più che niente, e con canzonette come “Ho scritto t’amo sulla sabbia” e “Sapore di sale”. E il momento della risacca, che cancellava i tuoi passi, non ti dava dolore, anzi: tutto l’affetto che avevi provato, e che provavi, faceva parte di quel bagaglio che porterai con te per il futuro.
E venne, infine, la scoperta del dolore, non quello fisico, ma quello interiore. Nei primi anni d’età, erano lucciconi, che la carezza dei genitori, o dei nonni, pur singhiozzando, li prosciugavano; così come le piccole ferite, e i fragili, deboli dispiaceri. Crescendo, la sensazione negativa della sofferenza fisica si sommava con quella interna, e le medicine non bastavano. Quando ci si accorgeva di questo passaggio, addio spensieratezza, addio amico mare, addio volare con l’aquilone fatto a mano. Regola del gioco, cui ti devi abituare perché solo allora capirai come i grandi, che ti circondavano, non sempre erano complici della tua allegria. Giorno dopo giorno, la sensazione di essere diventato maturo prendeva sempre più corpo, più spessore dentro, e cacciava, in angolini bui e polverosi, quel ragazzino che giocava con la paletta e il succhiellino sulla riva.
Un “gioco” che impegnava anche mentalmente; quel cercare di costruire un castello di sabbia sfociava nella rabbia quando un’ onda più lunga lo faceva sparire. Era una rabbia infantile, che cominciava e finiva quando scoccava l’ora del bagno. Di corsa, dentro l’acqua: “Mi raccomando, non più di 10-15 minuti”, era l’invito della nonna. Sì 10-15 minuti: impossibile! Era troppo bello, coinvolgente, schiamazzare con gli amici e e le amiche nell’unica occasione che avevamo per sfogare la simpatia verso quell’elemento liquido. I risultati, infine, erano sempre i soliti: cinque minuti in più, e qualche brivido di freddo, con i polpastrelli raggrinziti e violacei, e le meritate sgridate. Ma si era felici, comunque; e i castelli di sabbia che venivano cancellati non davano dolore. Domani avremmo ricominciato, come se la vita ti desse altre possibilità, altri momenti allegri, con la serenità e la tranquillità che sembravano la regola non solo delle vacanze, ma anche del futuro.
Arriva, e come se arriva, il momento in cui la sabbia ti dà noia, diventa un impiccio, non la sopporti più. Ti chiedi: ma come facevo ad essere felice quando, bagnato, quella s’impiastricciava incuneandosi tra le dita delle mani e dei piedi; quando, addirittura, per un gesto sbagliato, o uno scherzo, qualche granello scendeva giù per la gola! Oggi, quella rena è rimasta uno dei pochi ricordi di un’epoca così lontana che stento a mettere a fuoco. Le sensazioni, le emozioni, le meraviglie dell’età forse più bella della vita racchiuse in un granello di sabbia! Quel mare, comunque, rimane sempre tra i ricordi più belli che ho. Quando capita, sempre più raramente, facendo molta attenzione, provo a passeggiare ancora sulla battigia, dove la rena è più compatta, e le scarpe non affondano in quella.
E’ cambiata anche la stagione; non più estate, chiassosa, colorata, ridente; l’autunno, la prima parte, quando il sole ancora ti trasmette un po’ di calore e, verso la fine della giornata, scende all’orizzonte con tutti i colori dell’arancione. E’ tempo di riflessioni. Guardi indietro, e ripensi ai punti salienti della tua esistenza, quelli importanti, che ancora rammenti con tanto affetto, tanta emozione. Una breve passeggiata, con scarsi turisti, anche loro impegnati a ripassare il proprio passato che, probabilmente, come il mio, calpestava a piedi nudi quel tratto di spiaggia. Allora, grida lontane di felicità, spruzzi d’acqua nel viso, riprovare a costruire ancora un castello di sabbia. C’era la gioia di vivere perché scrivevamo “Ti amo” sulla sabbia, e pensavamo che mai, il mare, lo potesse cancellare. Poco dopo, invece un tenue sciabordìo portava via con sé tutto, ma rimaneva solo un leggero dispiacere, come gli ingenui amori che sbocciavano tra gli ombrelloni.
Granelli di sabbia: la storia dell’umanità.