Che avevamo un’arcavola monaca io l’ho saputo quando facevo le elementari. Quindi qualche decennio fa. Si chiamava al secolo Gregoria ed era una zia della mia bisnonna materna, nata e vissuta fino a 15 anni in un paesino remoto della Garfagnana, ad un tiro di schioppo dalla Grotta del Vento. Una volta entrata nel monastero di Santa Chiara a Cortona, così ho ricostruito la sua vicenda dai documenti trovati in Archivio di Stato, prese il nome di Gregoria di Gesù Amore, forse perché il proprio nome di battesimo le stava un poco stretto e desiderava modificarlo ed ingentilirlo.
Gregoria nacque nel 1860 ed era la sorella più grande del padre della mia bisnonna materna. Lei mi raccontava che suo padre le diceva che Gregoria, come gli disse sua mamma, era nata durante una notte di neve e tempesta, di freddo e di vento così forte, che quasi temevano di ritrovare l’indomani la loro casa scaraventata laggiù nel torrente. Quando bisnonna veniva a casa nostra, la sera, per farmi addormentare, mi raccontava di questa sua zia monaca. Ed io mi addormentavo di gusto al sentire queste storie della mia arcavola clarissa.
Io all’epoca non distinguevo una monaca da una che passeggia da sola vicino ai lampioni e però tutte quelle fole che mi raccontava bisnonna mi facevano dormire di un bel sonno profondo. Poi, col passare del tempo, ho capito la differenza tra i due tipi di donne.
Gregoria aveva uno sguardo vispo e certi capelli crespi e neri che quasi mettevano paura. Era sveglia, intelligente e dotata di grande umiltà, che poi, credo, sono cose che se vuoi fare la monaca devi per forza maneggiare più o meno alla perfezione. Di Gregoria bambina so che portava le sue capre al pascolo su dove c’è la cascata e lì ebbe una mistica visione o qualcosa del genere.
Vide una signora tutta vestita di bianco che le si avvicinò in silenzio ed in punta di piedi, le prese la mano destra ed insieme si misero a sedere sopra un masso. Cosa si dissero non lo sappiamo. Sappiamo però che Gregoria, quando la visione evaporò, tutta impaurita, corse dai suoi genitori, ed immagino anche le capre dietro di lei, e disse alla sua mamma che aveva visto e parlato niente di meno che con la Madonna. E che lei le aveva ordinato di farsi monaca clarissa. I genitori di Gregoria parlarono con don Silvio, il parroco del paese. Il quale aveva, te guarda la coincidenza, proprio una sorella clarissa a Cortona. Gregoria aveva 17 anni, quindi si era nel 1877, quando entrò nel monastero di Santa Chiara a Cortona. Furono fatte messe speciali in onore a Gregoria, e di questo fu informato pure il vescovo di Lucca, il quale donò una busta piena di quattrini raccolti tra le chiese cittadine.
Bisnonna si ricorda di quando suo padre le disse che sua sorella Gregoria, che era abilissima nel portare al pascolo le capre, una volta entrata in monastero aveva fatto come colui che con una fava riesce a prendere due piccioni. In pratica, si era come assicurata una pensione a vita, compresa di vitto ed alloggio. Certo, c’erano le messe, i rosari, le litanie, le processioni, il doversi alzare nel cuore della notte, le preghiere infinite, e l’impossibilità di poter uscire fuori, se non in caso di estrema necessità, ma tutto sommato la vita di clausura non era poi così male. Era di sicuro meglio che portare fuori al pascolo le capre.
Bisnonna nacque nel medesimo paesino di sua zia Gregoria nel 1905. Nel corso dei decenni, ben dodici tra fratelli e sorelle di bisnonna allietarono quella bella ed enorme casa che era proprio a ridosso del vecchio castello edificato dai lucchesi nel secolo XII e poi distrutto dai pisani due secoli dopo. La prima volta che bisnonna vide nel monastero di Cortona sua zia fu nel luglio del 1929, come ho ritrovato nei documenti di archivio. L’arcavola Gregoria aveva 69 anni mentre bisnonna appena 24. Insieme con bisnonna c’era colui che poi sarebbe diventato suo marito e quindi mio bisnonno. L’episodio che racconto ora me lo ha detto lei quando si andava a passeggiare su verso il poggio dove sua zia Gregoria portava le capre prima che diventasse monaca clarissa. Andò così.
Bisnonna ed il suo futuro marito andarono a Cortona a trovare per la prima volta zia Gregoria. Era un caldo orribile quell’anno. Arrivarono in monastero e chiesero di suor Gregoria. Gregoria si affacciò alla grata nel parlatorio e vide per la prima volta bisnonna ed il suo futuro marito. Parlarono, forse piansero anche, e di sicuro Gregoria chiese di suo fratello e delle sue sorelle e di altri parenti che non aveva più visto da quando bambina aveva lasciato il suo paese. Ad un certo punto, Gregoria, quasi lasciando loro un regalo per quella bella visita inaspettata, donò loro una statuina in vetro della Madonna di Lourdes piena di acqua benedetta. Il mio futuro bisnonno, preso dall’arsura tremenda di quel giorno, afferrò per il collo la Madonna, le tolse il tappo di sughero e si bevve tutto d’un sorso l’acqua benedetta, lasciando sbigottita prima Gregoria e poi bisnonna. La quale, così mi ha sempre detto, giurò che il suo futuro marito non volle fare una azione sacrilega, perché, bontà sua, pensava fosse semplice acqua del rubinetto.