P. C. | Fabrizio Mari

Tutto quello che ricordo è la tua data di nascita e le mille volte che mi hai portato al mare. E poi il tuo viso, con quegli occhi verdi e quella cascata di capelli rossi che ti rendevano la nonna più bella ed intrigante del mondo.

Eri del 1926. Due anni dopo Marlon Brando. Ma lo stesso anno di Marilyn Monroe e della regina di Inghilterra. Ed indovina un po’ chi è morta prima tra queste due? E cinque anni prima di Monica Vitti. La mia attrice preferita, insieme con la Claudia Cardinale, che però è del 1938. A te piaceva quella napoletana con le puppe alte ed a punta, la Loren, ma a me no… . Ah, lei è del 1934.

Però come me adoravi la Fallaci, 1929, che mi dicesti di averla vista in una libreria a Camaiore verso gli anni Settanta, poco prima che io nascessi. Era piccola l’Oriana, ma c’era tutta, così raccontavi quell’incontro quando venivi a pranzo da noi, e si vedeva che eri fiera di averla anche solo vista, perché a te lei piaceva. Come giornalista, ma soprattutto come donna. E che donna che era l’Oriana! Anche se, questo te lo dico io che ho visto la sua tomba al cimitero degli Allori, lei ha voluto che si scrivesse sulla sua lapide semplicemente ORIANA FALLACI SCRITTORE, che è secondo me l’ultima sua coltellata inflitta dritto al cuore del cosiddetto politicamente corretto.

Ce ne fossero ancora oggi di donne come l’Oriana! Oggi, nonna, invece il mondo è pieno di mezzi uomini e mezze donne, e nessuno dei due sa quale strada prendere. Ah, se tu potessi essere ancora qui! Accidenti a quel giorno che volesti andare a prendere a piedi le Nazionali senza filtro per te, come se in casa non ci fossero state. Fu un attimo. Un’auto sbucata da chi sa dove ti prese in pieno e tu volasti su in cielo come le farfalle che ricordo ti piaceva un sacco vedere correre su per aria.

Noi ti si aspettava per pranzo quel giorno. Credo che ci fosse il coniglio al latte, il tuo preferito. Mamma lo sai, perché è la tua figliola preferita, cucina parecchio bene e te anche se non glielo dicevi mai ma eri felice quando venivi da noi, perché potevi bere e fumare senza che nessuno ti dicesse nulla. Te delle due eri la nonna preferita, quella con la Cinquecento, la sottana un palmo buono sopra le ginocchia, la camicia sbottonata e le maniche arrotolate sul gomito e le puppe quasi a vista, le sigarette, ed ogni tanto qualche parolaccia assestata piuttosto bene la tiravi fuori. Però stavi simpatica al nostro prete, don Stefano. Giovane, intelligente, cosa rara tra i preti, dicevi sempre te, e buffo. Tutte le volte che mamma lo invitava a cena lei ti telefonava e subito partivi con quella Cinquecento perché volevi esserci a tutti i costi. E lo riempivi di quel fumo delle Nazionali a cena, ma lui non batteva ciglio, da quel gran e bravo prete che era e che è. Ogni tanto lo vedo e con dieci euro mi metto l’animo in pace con te e sento che ti rammenta durante la messa. Ed a me basta così. Sapere che dentro una brutta chiesa di periferia risuona il tuo nome e tutti gli altri attributi, come dicevi te, a me fa ridere, perché se tu fossi presente manderesti all’aria sia il prete sia quello dietro di lui inchiodato. Te eri così e vedi di non cambiare mai anche se te ne stai lassù tranquilla e beata.

Quel maledetto giorno la tua Cinquecento era lì ferma nell’aia, e forse nemmeno lei poteva immaginare una simile tragedia. Tranquilla, nonna. Ce l’ho io ora, ed è l’orgoglio mio più grande. Guidarla mi dà l’idea di averti sempre qui con me, perché io lo so che te sei lassù e mi guardi ridendo come facevi quando mi portavi al mare e dicevi che dei tre nipoti che avevi io ero il più birbante e bischero, così dicevi. Oh, le mie sorelle te non le sopportavi. Troppo gelose, troppo sicure di sé, troppo belle rispetto a me e troppo vanitose. Ricordo che te nemmeno volevi abbracciarle quando venivi da noi. Te avevi quegli occhi verdi solo per me. Ero il tuo preferito, anche se te mi dicesti di non dirlo a mamma, perché ci sarebbe rimasta male. Ma è la verità.