La musica accompagna gran parte della nostra vita come una colonna sonora di sottofondo, da cui è possibile estrarre dei pezzi più significativi di altri. Spesso alcuni momenti importanti sono legati a una canzone in particolare: e anche a distanza di anni, sentendola, riaffiorano ricordi che si credevano dimenticati. Succede del tutto involontariamente, perché è come se quelle note agissero come chiavi che aprono le serrature del nostro inconscio: ne hanno parlato in termini simili nei loro romanzi due dei più grandi narratori del Novecento, James Joyce – che le definiva “epifanie” – e Marcel Proust.
Non so quanto sia salutare, in questi tempi cupi, ricordarsi del tempo felice / ne la miseria, per citare la Francesca da Rimini di Dante; eppure pochi giorni fa ho sentito per caso alla radio un brano al pianoforte di Ludovico Einaudi, dal titolo Una mattina, e in un attimo è esplosa l’estate del 2010. Mio figlio Diego aveva pochi mesi di vita e la sera non c’era verso che dormisse. Ma quando sentiva quella musica si placava, e scivolava nel sonno, concedendo qualche ora di tregua anche a due neogenitori abbastanza in alto mare con la gestione di un neonato.
D’altra parte mia madre mi racconta sempre che a me succedeva la stessa cosa: in macchina, da bambina, mi calmavo solo quando sentivo Minuetto cantata da Mia Martini, quindi nel mangianastri c’era sempre quell’unica cassetta, che credo di avere ancora da qualche parte: talmente consumata che l’adesivo con i titoli delle canzoni non c’è più, ma tanto io la riconoscerei lo stesso.
A questa canzone sono legati altri bellissimi ricordi della mia giovinezza, certi viaggi in auto con la mia amica Paola, durante i quali la cantavamo a squarciagola: e sinceramente eravamo anche intonate, solo che prima o dopo ci scappava da ridere. Erano le estati spensierate prima dei nostri 30 anni, quelle dei fine settimana a Vada, delle serate a Castiglioncello, delle vacanze in campeggio a Palinuro. Un tempo così lontano che spesso mi pare di averlo solo sognato.
Un’altra canzone segnava quelle lunghe tratte di strada: Total eclipse of the heart di Bonnie Tyler, che credo come nessun’altra artista abbia segnato gli Anni Ottanta. Noi, però, l’abbiamo scoperta con dieci anni di ritardo, e ogni tanto la cantiamo ancora. Potrei citare ancora tanti pezzi che per me hanno un significato particolare o sono legati a un bel ricordo: molte delle canzoni di Bruce Springsteen, ad esempio, l’unico cantante insieme agli U2 e a Francesco Guccini di cui abbia più o meno la discografia completa. Ma ci vorrebbe troppo tempo, e spesso i ricordi è meglio lasciarli dove sono, dove fanno meno male. Già solo a parlare delle estati di venti anni fa mi è sceso addosso un velo sottile di malinconia.
Sarà perché a volte non mi capacito di come il tempo abbia potuto correre così veloce, e ho la certezza, a 46 anni, di avere più passato alle spalle di quanto futuro abbia di fronte. Ma è senz’altro un effetto di questa quarantena. Sicuramente, se cerco nella mia playlist The river di Springsteen e la canto a pieni polmoni, questa assurda malinconia che sento oggi sparirà d’incanto. Quando la sento al telefono, voglio proprio chiedere a Paola se la conosce.