Home TRA FINZIONE E REALTA' DINO BIRINDELLI La mia metà | Dino Birindelli

La mia metà | Dino Birindelli

La mia metà, mi diceva un amico riferendosi a sua moglie. A vederli insieme se ne aveva conferma, perché lui era alto e grosso e superava abbondantemente i cento chili, mentre lei, bassa e mingherlina, forse non raggiungeva neppure i 48. Credo che sia inutile precisare che non voleva riferirsi al peso né alla statura, bensì al fatto che lui e lei erano un’anima sola, fate conto come la cioccolata liquida che si cola in due stampini e poi le due parti si uniscono e viene fuori l’uovo di Pasqua. Devo dire che il mio amico non è l’unico a chiamare in quel modo la moglie. C’è chi la chiama la mia sposa, la mia signora, fino ad arrivare alla consorte, che però non è un titolo diffuso tra i comuni mortali; si sente (lo sentono) nei grandi palazzi, specialmente in quelli reali, dove alloggia il Principe Consorte e la Principessa anche lei Consorte, entrambi con tanto di lettera maiuscola.

Il mio amico non molla. Per lui la moglie è la sua metà, e naturalmente se lei è la metà di lui, lui è la metà di lei. Ma perché, mi sono domandato, non un terzo l’uno e l’altra due terzi, oppure un quarto e tre quarti o viceversa? La spiegazione arriva da lontano: una volta – parlo di qualche millennio fa – tutti gli uomini (e le donne) vennero segati proprio a perfetta metà, ma credo che sia bene cominciare da principio e, appunto, non dalla metà.  

Un giovane padrone di casa, di nome Agatone, invitò a cena sei amici (uno arrivò con molto ritardo e aveva la sbornia, e quindi escludiamolo dal numero), i quali mangiarono bene e bevvero meglio e dopo si misero a chiacchierare a lingua sciolta. Anziché parlare di calcio o di politica, come di solito si fa, scelsero un argomento quanto mai piacevole qual è l’amore. Ognuno, direte, avrà messo in piazza le sue conquiste e si sarà vantato del numero e della qualità dei suoi amori più o meno clandestini. Non è così. Si trattava di sei gentiluomini, compreso il padrone di casa, che non intendevano snocciolare le loro avventure galanti, ma desideravano scambiarsi le idee sulla nascita dell’amore che, come dice Dante, move il sole e l’altre stelle, è vero, ma muove anche l’uno che corre verso l’altra (e viceversa), e talvolta l’uno verso l’uno e l’altra verso l’altra.

Il padrone e gli ospiti dissero la loro, e si trattava di discorsi da ascoltare con molta attenzione, perché si imparava un sacco di cose, ma quella che mi rimase impressa nella mente (io ero lì, perché facevo il cameriere) fu la storia che raccontò Aristofane, commediografo, il quale lasciò tutti a bocca aperta.

Quando gli uomini vennero creati – così cominciò il suddetto signore – i sessi non erano due ma tre: il maschile, il femminile e l’androgino. Nel sentire queste prime parole, i commensali sobbalzarono sulla sedia, ma s’era ancora al principio e il resto non sarebbe stato meno stupefacente. Questi esseri umani furono fabbricati in maniera piuttosto strana e diciamo pure abbondante.  Infatti, avevano forma rotonda come una palla, pensate, e possedevano quattro gambe, quattro braccia e una sola testa, però con due facce munite di tutti gli accessori, vale a dire due nasi, quattro orecchi, due bocche, quattro occhi, così potevano buscarsi due raffreddori, sentire da destra e da sinistra, fare due sbadigli contemporaneamente e guardare davanti e dietro nello stesso tempo. Tutto doppio. Doppio anche il sesso.

I maschi possedevano due organi maschili, le femmine due organi femminili e gli androgini ne avevano uno maschile e un altro femminile. E dovete anche sapere che quando camminavano si servivano delle quattro braccia e delle quattro gambe, ma più che camminare ruotavano su se stessi supervelocissimamente, e questa loro condizione di privilegio li rendeva arroganti e bellicosi, tanto che una volta tentarono perfino di salire fino sul monte Olimpo per dare battaglia agli dei.

A dire il vero, Giove era parecchio preoccupato, ma Giove è un vulcano di idee e sa bene come fare con gente simile per ricondurla alla ragione, e infatti partorì subito il rimedio: ora li sego in due parti – disse – così cammineranno con due gambe come tutti i cristiani e saranno più docili e meno battaglieri. Fu un lavoro di sega lungo e faticoso, quello di Giove, il quale poi dette ad Apollo il compito di girare a ciascuno la faccia in direzione del taglio e di fargli l’ombelico. In seguito a questa operazione, però, nacque un problema non da poco, e cioè che ogni essere segato si trovò il proprio organo sessuale nella parte posteriore, e la cosa non andava mica bene: come facevano a usarlo per incrementare la popolazione? C’era davvero il pericolo che questi esseri si estinguessero, e se la terra è spopolata chi è che fa i regali e i sacrifici agli dei, e costoro, a questo punto, che ci stanno a fare? Bisognava trovare un rimedio, e anche alla svelta, e Giove, che tutto scorge e tutto comprende, non si sgomentò, disse che era una cosa di poco conto, ci penso io: basta mettere al posto giusto, e cioè davanti, le cose che erano andate a finire dietro, così possono funzionare secondo la loro natura.

Ora che tutto è a posto ecco che sboccia l’amore. Ciascuna metà, infatti, andava in cerca dell’altra sua metà, alla quale era molto affezionata, visto che le due parti erano state sempre appiccicate insieme come un francobollo sulla busta. Successe allora che tutte queste fette, che ora camminavano su due gambe e avevano due braccia e un sesso soltanto, andavano in giro giorno e notte, ciascuna per tentare di ritrovare la parte che era stata segata per ordine di Giove. Cerca di qua, cerca di là, finalmente ebbero modo di ricongiungersi con l’anima gemella, e il responsabile di tutto questo traffico mi dite chi è se non l’Amore?

Bene. Visto che ora lo abbiamo smascherato, bisogna vedere come si sono comportati i suddetti individui affettati. Gli androgini, dopo tanto girottolare e sospirare, trovarono l’altra fetta di loro stessi; in altre parole, la fetta maschio finalmente trovò la sua vecchia fetta femmina e viceversa, e in seguito a questo incontro venne scongiurato il pericolo che gli uffici dell’anagrafe buttassero nel cestino i registri delle nascite. I maschi dimezzati invece andarono in cerca della loro metà e altrettanto fecero le mezze femmine, e una volta ricongiunti consumavano l’amore a modo loro.

Tutti i convitati avevano seguito con grande interesse le parole di Aristofane, e anzi ce n’era uno, il dottor Erissimaco, celebre medico che curava il singhiozzo, il quale tracciava degli schizzi su un foglio di carta che aveva davanti a sé. Le parole di Aristofane le traduceva graficamente usando la matita, e siccome io non ero sicuro di avere inteso bene, quando il commediografo smise di parlare, mi permisi di chiedere al dottore, con molta cortesia, se mi mostrava quello che aveva disegnato. Fece di più l’illustre medico Erissimaco, molto di più: come mancia mi regalò i suoi disegni, quattro per l’esattezza, in cui sono raffigurate le varie fasi dello sdoppiamento dei nostri individui.

Ripagai (certamente in minima parte) la sua generosità lasciandogli a portata di mano un’intera bottiglia di vino pregiato, e alla fine del servizio arrotolai ben bene i suoi preziosi disegni e tornai a casa da mia moglie, volevo dire dalla mia dolce metà.

 

 

Note

Su Giove che tutto scorge e tutto comprende: Esiodo, Le opere e i giorni, Rizzoli, 1998, p.113.