Home TRA FINZIONE E REALTA' DINO BIRINDELLI La Mano | Dino Birindelli

La Mano | Dino Birindelli

Credo che i nostri organi siano stufi di sentirsi sempre tirare in ballo. Sono nati per assolvere una precisa funzione, ciò che fanno meglio che possono, ma noi, invece di lasciarli al loro posto a lavorare con tranquillità, li strapazziamo tutti i giorni abbinandoli a certi atteggiamenti che assumiamo, da uomini noiosi, irritabili, spendaccioni, eccetera eccetera quali siamo. Uno s’arrabbia? E allora si dice che gli è saltata la mosca al naso. A un altro viene un sospetto? Ebbene, questo signore ha una pulce nell’orecchio. Poi c’è chi ha un mucchio di debiti o di guai, e che dice? Che è indebitato o inguaiato fino al collo. Addirittura c’è chi ne preleva una coppia, di organi, ed è colui che si vendica: tu hai fatto del male a me e io lo fo a te, e per evitare questo discorso usa la locuzione occhio per occhio, dente per dente. Ci sono anche coloro che modificano la struttura dell’occhio dandogli un’appendice adatta al cane e al gatto, ed è colui che guarda facendo finta di niente, ovvero guarda con la coda dell’occhio. Chi si fa male da se stesso, si dà la zappa sui piedi, e chi si barcamena e non prende decisioni, il piede se lo tiene in due staffe, e non parlo, per carità, di colui che sta poco bene, anzi sta male, e purtroppo ha un piede nella fossa. Di colui che è noioso che di più non si può, si dice, senza che ci senta, che fa venire il latte alle ginocchia, mentre chi lavora senza posa giorno e notte vuol dire che ha una famiglia sulle spalle, e mai, io credo, con quel carico addosso, si azzarderebbe a eccedere nelle spese, ossia fare il passo più lungo della gamba.

Finora, non so se ve ne siete accorti, non è stata nominata la mano, e se ci si mette anche lei, siamo fritti. Perché la mano non la lasciamo in pace un solo momento. C’è chi giudica con mano leggera, ovvero con misura, e chi con la mano pesante, ovvero in maniera troppo severa, e chi cade nelle mani del nemico, e questo speriamo che non succeda mai più, chi alza le mani, chi fa man bassa, chi incassa un rigore per un fallo di mano, chi in automobile va contromano, chi resta a mani vuote, e chi è lesto di mani, e quindi attenzione al portafoglio quando siete sul tram. A questo punto, bisogna rammentare anche la manomorta, che stava a indicare l’esenzione da certe tasse nei riguardi della chiesa e di alcuni enti morali, ma sul tram, nelle ore di punta, assume un altro significato quando certi imbecillotti allungano la loro mano verso la signora che hanno davanti. È chiaro che questo non è proprio il posto giusto dove mettere la mano, anche perché ti puoi beccare un’ombrellata in testa, e sarebbe il minimo che uno si merita. Tutte e due le mani invece si mettono fra i capelli, se siamo disperati, meglio in tasca se si vuole fare i disinvolti e meglio ancora, e in questo caso ne basta una sola, se si vuole mettere mano al portafoglio. C’è poi chi ha le mani in pasta, e costui non è necessariamente il pastaio, ma può esserlo chiunque s’interessa di qualcosa, e c’è invece chi sta con le mani in mano e costui di sicuro non s’interessa di nulla, non si scervella e non suda.

Ma ora cominciano i dolori per le mani. Prendiamo san Francesco: sul monte della Verna ricevette le stigmate, ovvero i segni che ricordano la crocifissione di Gesù, e che trapassano le mani dal palmo al dorso. Insomma le bucano e noi, senza tanti riguardi, si accusa il prossimo che spende e spande senza freno di avere le mani bucate, come ce l’ha lo stato italiano: è per questa ragione, dice Cesare Marchi, che abbiamo eletto san Francesco a patrono d’Italia. Bene. Si potrebbe dire: meglio bucate che mangiate, e infatti c’è chi se le mangia, le mani, per il rammarico di non avere fatto qualcosa che poteva fare, come dice Trilussa nella poesia L’onestà de mi’ nonna. Questa vecchia signora rifiutò in gioventù un brillante che le offriva un suo corteggiatore, un “vecchio impreciuttito”, e oggi è pentita “tanto che adesso quanno l’aricconta, ancora ce se mozzica le mano”. A questo punto, care mani, si va di male in peggio, domandatelo a Muzio Scevola, eroe dell’antica Roma. Vorrei subito dire che scevola vuol dire mancino, lui non lo era da ragazzo, ma lo diventò un giorno da giovanotto e vi spiego qual è il motivo. Muzio s’era introdotto nel campo del nemico col compito di uccidere il re Porsenna, ma invece di colpire lui colpì il segretario, e allora, per punire la sua mano destra che, armata di pugnale, aveva sbagliato il bersaglio, la mise su un braciere e l’arrostì ben bene, guadagnandosi l’ammirazione del nemico e la libertà. Anche noi siamo disposti a mettere la mano sul fuoco per scommettere su qualcuno o qualcosa, tanto, male che vada, non ci si scotta perché si tratta di un fuoco fasullo. Ma ecco finalmente il cavaliere galante che si inchina al cospetto della signora e le bacia la mano, e c’è anche l’umile campiere (in una poesia di Quasimodo) il quale dice al suo padrone “baciamu li mani”.

Ora bisogna dire che la mano talvolta è maestra, quando si tratta della mano di un abile artigiano o di un artista, e anche che, come ci sono le teste di legno, così ci sono le mani di ferro, quelle che picchiano con energia, ma talvolta si infilano i guanti di velluto così uno si accorge meno delle botte che si busca. Ma ti pareva che la mano non volesse intromettersi anche nelle cose d’amore? Oggi i giovanotti sono piuttosto sbrigativi. Se ti garba una fanciulla, e tu garbi a lei, non c’è da fare tanta trafila coi genitori, contrariamente a quanto succedeva una volta. Ti garbava la Maria, giovanotto? Allora dovevi stare calmo e andare a parlarne col suo babbo, e che gli dicevi? Farfugliavi la formula di rito che era questa: chiedo la mano della sua figliola. Viene da domandare: ma come soltanto la mano e non tutta intera, la fanciulla? Se ti prendeva alla lettera c’era pericolo che gliela mozzasse con l’accetta? Perché si diceva così me lo spiegò il mio nonno. Anche lui aveva dovuto chiedere la mano della nonna, e a malapena riesco a vederlo, povero nonno, coi suoi baffoni bianchi spioventi tutti i giorni feriali e a tortiglione la domenica. Mi disse che ai suoi tempi la mano era una cosa sacra. Per esempio, volevi vendere un pezzo di terra o un vitello? Ma quale carta, e per di più bollata: una stretta di mano tra acquirente e venditore e il contratto era concluso. Così nelle cose d’amore: se la mano sinistra porta l’anello, la destra è quella che si porge e si stringe per suggellare un patto, mi diceva il nonno, proprio come nelle compravendite. Questo, del resto, era un rito che gli antichi romani conoscevano bene. Se si fa un salto nella Roma degli ultimi secoli avanti Cristo, si scopre, grazie agli studiosi del diritto, che, nel ceto sociale più ricco, la cerimonia nuziale prevedeva che gli sposi si dividessero una focaccia di farro e ne mangiassero, e inoltre che la mano destra di lui stringesse la destra di lei quale segno di unione per l’avvenire.