Una famiglia di topi, padre, madre e tre figli, abita nella mia cantina del condominio. Gliel’ho ceduta in locazione, anzi, no, in comodato gratuito per cui non spende un centesimo e un centesimo non lo spende neanche per mangiare, perché mi sono assunto anche l’onere del formaggio. E attenzione: non di croste o di avanzi della mia cena. Il pizzicagnolo mi è testimone: entro nella sua bottega tutti i giorni e compro la razione che mi occorre, il sabato la spesa è doppia. Ma sarà meglio che cominci da principio, perché si tratta di una storia insolita ma soprattutto commovente, e vorrei raccontarla come si deve.
Bene. Un giorno ero nell’ingresso del palazzo condominiale dove abito, e che vedo? Due topi (constatai dopo che uno era un topo e l’altra una topa), impietriti dalla paura, che stavano a ridosso della porta della mia cantina, e sfido io che fossero spaventati a morte. Davanti a loro c’era un gatto nero, anzi una gatta nera perfida e mordace, di cui aveva paura perfino il sambernardo della signora del primo piano. Appena questo vitello di cane l’avvistava, faceva subito dietrofront e per riprendersi dallo spavento andava a trincarsi due o tre sorsate di cognac dalla fiaschetta che porta sempre al collo, come noi si porta la catenina. Se aveva paura lui, figuriamoci due topolini. Io che feci? Non è che ce l’abbia coi gatti, però non mi vanno i prepotenti, e in questo caso, lo sapete benissimo, si trattava di qualcosa di peggio. Allora provai a scacciare la gatta, ma quella faceva un passo di qua e uno di là e non ne voleva sapere di mollare la preda. Me ne vado, e pace all’anima loro? Neanche per idea. Infilai la chiave nella porta della cantina e l’aprii quel tanto che bastava: i due topi ci si infilarono come due fulmini (stavo per dire ci sgattaiolarono), io richiusi, e tanti saluti alla gatta. Fu in questo modo che costoro diventarono miei inquilini, e non solo non gli chiesi una lira d’affitto (lo sapevo che erano nullatenenti e per di più disoccupati), ma – come ho già detto – mi assunsi anche l’onere del vitto, insomma pensione completa. La cantina, come tutte, era un ricettacolo di cose vecchie e polverose, per esempio c’erano due o tre seggiole sgangherate, un lavamano con tanto di brocca sbreccata (che ora riusa e quasi quasi lo porto alla fiera dell’antiquariato), un divano mutilato di due zampe, qualche pacco di vecchi giornali, un canterano, tre paia di scarpe scompagnate e non so che altro. Di roba mangereccia neanche l’ombra né l’odore.
Io non ero esperto di alimentazione topesca per cui, naturalmente facendo il vago, chiesi informazioni al portiere dello stabile, il quale mi disse sogghignando che se volevo alimentare bene i topi gli dovevo dare un bocconcino di formaggio zuppato nella stricnina, magari anche due. Il discorso non mi filava liscio, per essere sinceri, perché nel condominio si mormorava che l’inquilina dell’ultimo piano, una signora tanto distinta e perbene, aveva fatto passare a miglior vita il proprio marito, versandogli nel vino due gocce, due sole, di quella roba. Allora mi rivolsi al pizzicagnolo: formaggio, mi rispose, sempre formaggio e solo formaggio, e niente zuppe, e se vuole cascare sul sicuro, gruviera o parmigiano. Va bene, vada per il primo: facciamo mezzo chilo tutti i giorni.
I due topi s’erano sistemati in un cassetto del canterano, al secondo piano, e se avevano freddo si mettevano addosso un giornale. Una volta li vidi abbracciati sotto l’Unità insieme all’Osservatore romano. Ma, dico, siamo matti! Non perché l’uno era il diavolo e l’altro l’acquasanta, per carità, ma per il fatto che erano abbracciati. Vuoi vedere che sono un topo e una topa? Proprio così, e infatti una mattina lei scodellò in un colpo solo tre topini: ciascuno, con la coda e tutto, sarà stato lungo sì e no quattro centimetri. Da parte mia, visto l’incremento della famiglia, dovevo subito aumentare la razione giornaliera di formaggio, e allora ordinai al pizzicagnolo che da mezzo chilo passasse a 800 grammi. Tutto a posto. A mezzogiorno scendevo col mio desinare e assistevo al taglio del formaggio: il capo famiglia lo divideva in cinque parti, due da 250 grammi (e fanno 500) e tre da 100 (e fanno 300), giustamente le prime due per i genitori e le altre tre, una per ciascuno, ai loro pargoli.
Devo dire che due dei tre topini crescevano che era un piacere, e infatti dopo appena una settimana erano lunghi almeno dieci centimetri e belli sodi, uno invece non aveva preso un centimetro né un grammo, anzi, a osservarlo con attenzione, si vedeva che era secco come uno stecchino da denti e addirittura s’era rimpicciolito. Provai a chiedere notizie al babbo e alla mamma, ma era difficile capirci per via della lingua. Io, a essere sincero, mi preoccupavo di questo topino. Mentre i genitori con due figlioli avevano cambiato alloggio e dal cassetto del secondo piano s’erano trasferiti in quello superiore molto più grande, il topino secco invece stava sempre solo e sempre raggomitolato dentro una scarpa, zitto e cheto. Pensai che si fosse buscato qualche malanno serio, e allora decisi di farlo vedere dal dottore. Chiamai una mia buona amica veterinaria, che aveva un’esperienza unica, si può dire, perché era convenzionata con tutti i circhi nazionali e internazionali per visitare e curare tigri, leoni, elefanti, serpenti, cavalli, canguri, ciuchi, leopardi, giraffe, iene, pantere, dromedari, muli e bardotti, cammelli, zebre, giaguari, leopardi, rinoceronti, ippopotami, sciacalli, orsi, foche. Inoltre curava tutti gli animali domestici come polli, gatti, cani, oche. Addirittura visitava a domicilio balene, delfini, pescecani, pescispada, pescisega, pescimartello, pescirossi e via dicendo. Niente volatili. Condussi la dottoressa in cantina, e lei, appena scorse il topino accoccolato nella scarpa e gli altri quattro spaparacchiati al secondo piano del canterano, si prese una paura tremenda, dette uno strillo e montò su una sedia sgangherata, la prima che trovò a portata di piede. Niente da fare, la dottoressa rimase impalata sulla sedia e io dovetti prenderla tra le braccia e condurla fuori.
Ero ancora al punto di prima, e infatti non avevo risolto nulla di nulla. Ma giusto in quel momento fui preso da un dubbio atroce: non sarà che il topino secco non mangia perché qualcuno della famiglia fa il furbo? Così misi in atto questa strategia: a mezzogiorno deposi in terra il vassoio col formaggio (800 grammi) e poi mi rimpiattai dietro il divano zoppo, e ora voglio proprio vedere quello che succede, mi dissi. Arrivò tutta la brigata, e il babbo fece le parti: 250 grammi a me, 250 alla mamma, 100 a te, a te e a te. Perfetto. I quattro topi del canterano affondarono subito i loro due dentini nella polpa del cacio e il quinto, il topino secco, vediamo che fa: si avvicina al suo pezzo, lo guarda, l’annusa, gli gira intorno, poi si accovaccia dentro un buco del gruviera senza darci neanche una leccata. E sapete che fecero i due bravi fratelli? Quando ebbero finito la loro razione, lo sfrattarono dal buco e fecero piazza pulita del suo formaggio. Avete capito che razza di furbacchioni? Il topino secco se ne tornò mogio mogio dentro la scarpa e lì rimase zitto e cheto. Ecco perché era diventato secco come uno stecchino da denti: non mangiava, sfido io! Questo lo avevo scoperto, ma ecco il busillis: perché faceva così?
Questa era roba difficile, da dottori, anzi da professoroni. Proprio in quel momento cominciò a piovere a catinelle e la signora del quarto piano, molto fine e apprensiva, dalla finestra gridò a un suo figliolo che era uscito di corsa senza l’ombrello: Almeno infila la testa nel buco del cappuccio, disgraziato che non sei altro, sennò ti buschi una polmonite e ci rimetti la pelle! Accidenti. Il buco del cappuccio! Ma certo, ora ci sono. Subito mi vennero in mente le parole che il babbo aveva detto ai suoi tre figlioli appena nati (le sentii io sottoscritto in persona, con questi orecchi): State attenti, ragazzi, e tenete bene in mente che se volete salvare la pelle infilatevi in un buco. Un buco, uno qualsiasi, non gli disse mica in tutti i buchi meno quelli del gruviera. Come succede nelle migliori famiglie, c’è il figlio più perspicace e quello un po’ meno, c’è quello che non gli importa un cavolo delle raccomandazioni del babbo e quello invece che le segue alla lettera: il babbo è il babbo, perdinci, e se dice una cosa lui bisogna starlo a sentire. Così aveva fatto il topino secco: era nato timoroso e ubbidiente, e se il babbo dice buco, buco dev’essere. Ero riuscito a svelare il mistero, e ora come la rimedio? Nessun problema, mi disse il pizzicagnolo. Da oggi si cambia formaggio: 800 grammi di parmigiano, che oltretutto è più conveniente perché col gruviera si pagano anche i buchi.
Non so se vi interessa, ma vorrei dire che in pochi giorni il topino secco come uno stecchino diventò lungo e bello florido, e dovetti aumentare il rancio: ora il pizzicagnolo mi lascia da parte tutti i giorni un bel chilo tondo di parmigiano.