Home FRANCO CORSETTI Stretta la foglia | Franco Corsetti

Stretta la foglia | Franco Corsetti

Un giorno è, oggi? Non so, e – francamente – non m’importa. Penso: un giorno simile a quello di ieri; simile a come lo sarà domani. Non che mi sia rassegnato, ma sono finito in una in una ragnatela e non riesco ad uscirne. Non credo di essere da terapia; certamente, mi sento soffocare, mi manca la libertà, sono il campione mondiale del vorrei …, ma non posso. Difficile uscirne, a meno di un terremoto. Certo, leggo di più; scopro, e capisco elementi che ieri non conoscevo, o ne sapevo solo superficialmente. Anche prese di posizione convinte sono state messe in discussione, come la Storia d’Italia per prima. D’altronde, c’è chi ha scritto che i record vanno battuti, le statistiche vanno aggiornate e la Storia va riscritta. Ma questo mi consola in parte; mi sento più pratico che teorico; mi è sempre piaciuto scoprire di persona ciò che leggevo sui libri, o che mi veniva detto. Proprio a questo proposito, diversi anni fa, spinto da un caro amico a fare un giro a Siena, ci avventurammo alla ricerca della piccolissima piramide eretta in ricordo della battaglia di Montaperti del 1269 tra i ghibellini senesi e guelfi fiorentini, e che Dante cita nell’Inferno. Nessuna indicazione; nessun cartello; a lume di naso, in territorio “sardo” (pastori silenziosi e diffidenti), e la scoperta del piccolo manufatto, senza date, senza parole, senza anima. Questo, un piccolo esempio di come si tratta la “nostra” Storia, ma ciò di cui voglio parlare è della civiltà contadina, ormai distrutta, che ci ha lasciato un piccolo tesoretto fatto di parole, di modi di dire e di fare, retaggi di secoli della sua storia. In particolare, l’eredità che quella civiltà ci ha trasmesso attraverso adagi, detti e proverbi per riesumare un passato remoto se non antico, e per confrontarlo con quello che succede negli anni 2000, e trovando che, stranamente, molti di quei pensieri si potrebbero applicare anche alla realtà di oggi. Non voglio farne un elenco per cercare di coglierne le sfumature per dimostrare quanto fosse profondo il contenuto di quei messaggi, tra l’altro anche garbati e spiritosi, ricordando che la straripante tecnologia odierna non è riuscita a cancellarli. Una libera scelta che ha come scopo di riscoprire l’arguzia dei nostri antenati che, attraverso secoli di osservazione, avevano capito il ritmo della terra, quello immutabile, e che è arrivato fino a noi in modo anonimo perché del contadino si diceva che “aveva le scarpe grosse, ma il cervello fino”, per poi mettere in risalto le sue scarpe e sminuire il suo cervello. In più, ovviamente, ogni regione aveva (ha) le proprie tradizioni riportate spesso in rima baciata. Certo, anche la lingua parlata è cambiata, e certe parole e certi pensieri sono ormai datati perché incardinati in una realtà che non esiste più. Allora, ci vorrebbe un vocabolario a portata di mano, ma si perderebbe tempo, e sarebbe comunque di difficile comprensione. Meglio riportare proverbi brevi e ancora circolanti tra coloro che, con un po’ di nostalgia, hanno vissuto gli ultimi sprazzi di un’età che non ha più eredi. “Chi si contenta, gode, e spesse volte stenta: ed è bello stentar chi si contenta”. Questa è la saggezza della povertà, oggi sono praticabile perché immersi in una società ormai fondata sullo spreco. Ieri, quel mondo era allenato a digiunare; oggi no. “Chi altrui giudica, sé condanna”, ma la maldicenza, ormai, non ha più limiti né vergogna. “L’esperienza è la maestra della sapienza”, se oggi fosse possibile, ai nostri ragazzi, fargliela fare. “La sera leoni, la mattina coglioni”. E’ difficile contestare, ma si legge troppo spesso che questo detto o è sconosciuto, o non è seguito, purtroppo, soprattutto nelle strade. “Presto e bene non sta bene insieme”. I tempi del colono, allora, erano scanditi dalla lentezza. “Buon per quel corpo che il sabato è vivo e la domenica è morto”. I problemi di allora sono rimasti, purtroppo, quelli di oggi. “Parola detta, sasso tirato, e non torna indietro”. Quanto sarebbe saggio, e intelligente, tacere! Ma i social… “Chi gode in gioventù, stenta in vecchiaia”. Non occorre un commento, ma oggi pochi seguono questo consiglio. “A fame, pane; a sete, acqua; a sonno, panca”. Era una regola di vita che esaltava chi si contentava di poco. “Ai peggio porci, toccano le meglio pere”. Le cose migliori, la fortuna, di solito capita a chi non li merita, o non ne riconosce il valore. “All’impossibile, nessuno è tenuto”, sottinteso che ognuno faccia il proprio dovere. Regola d’oro. “Amor non ha pazienza, e l’ira non ha consiglio”. Cioè, usare il cervello, se uno ce l’ha …”A rubar poco, si va in galera”. Invece, a rubar tanto … “A pensar male, ci s’indovina”. E’ un pensiero noto, fatto proprio da un importante uomo politico del secolo scorso. Sembra quasi un plagio. “A tavola, non s’invecchia”. Stranamente, questo detto ha cambiato totalmente il significato. E’ nato inteso come mangiare troppo, si muore presto. Ora, invece, s’intende come le ore passate a tavola non consumano la vita, forse perché trascorse in allegria. “Bacco, tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere”. Si commenta da sola, ma oggi abbiamo di più e peggio. “Bisogna fare il muso secondo la luna”. Cioè, comportarsi secondo le circostanze. “Brutto in faccia, bello in piazza”. Lo si citava per rincuorare la neo-mamma, ma non era una garanzia. “Buio via buio, fa buio”. La situazione è poco chiara, e sembra di difficile risoluzione. “Chi ha un buon albero si appoggia, buona ombra lo ricopre”. Il vecchio tizio italico: sotto la protezione di un potente, si vive sicuri e tranquilli. “Chi burla lo zoppo, badi d’esser dritto”. Attenzione a giudicare i difetti altrui perché noi si può essere peggiori. “Chi burla, si confessa”. Specie in Toscana, si dicono, con ironia e sarcasmo, le verità più cattive, che spesso creano difficoltà e imbarazzo a chi toscano non è. “Chi critica, compra”. E anche “Chi disprezza, vuole amare”. Usati in amore, quando le ragazze lo citavano ai giovanotti che non le consideravano. “Chi di 20 non ha, di 30 non ne aspetti”. Riferito al cervello: se non ce l’hai a 20 anni, difficilmente lo avrai a 30. “Chi dona il dono, il donator disprezza”. E’ moda comune, oggi, regalare ciò che ci viene regalato. Una volta i regali erano molto apprezzati, forse anche perché erano pochi e ci dimostravano vera amicizia e vero affetto. “Chi è stato una bella scarpa, sarà sempre una bella ciabatta”. Cioè, da una buona staffa si ricava sempre qualcosa, riferito, probabilmente, alla bellezza umana. “Chi fa la casa in piazza, o l’è troppo alta, o troppo bassa”. Chi fa le sue cose in pubblico, non soddisfa nessuno. “Chi ha le capre, ha corna” e “Chi ha galline, ha pipite”. Significa che si ha l’utile ma anche il fastidio. La “pipita” era una formazione abnorme di escrescenze rotonde sulla lingua dei polli. Oggi, sembra scomparsa, così come la gallina ruspante. “Chi ha della roba, ha parenti”. Chi è ricco, non è mai abbandonato. “Chi ha fatto la piscia a letto, la rasciughi”. Chi ha fatto il danno, ne paghi le conseguenze. “Chi ha il cul nell’ortica, spesse volte gli formica”. Si diceva di chi aveva la cattiva coscienza, e che perciò non era tranquillo. “Chi ha il Santo, ha anche il miracolo”. Le amicizie e i parenti importanti sono sempre utili. “Chi ha sanità, è ricco e non lo sa”. Oggi più che mai. “Chi ha portato la tonaca, puzza sempre di frate”. E’ difficile cambiare uso e modo di essere . “Chi ha rogna da grattare e moglie da guardare, non gli manca mai da fare”. Bisognerebbe sempre stare attenti a non farsi mettere le corna. “Chi non ha la testa, abbia gambe”. Se non metti attenzione alle cose che fai, devi poi rimediare. “Chi nasce tondo, non muore quadro”. Non si cambia la propria natura. “A mangiare e a bestemmiare, tutto sta nel cominciare”. Parole sante. “Chi non può allungarsi, si scorci”. I nostri limiti vanno accettati, adattandosi alle circostanze. “Chi non sa mentire, pensa che tutti dicano il vero”. Purtroppo, il nostro è un mondo che ci “educa” alla bugia. “Chi ride il venerdì, piange la domenica”. Significa che chi è troppo spensierato, avrà amare sorprese. “Chi siede sulla pietra fa tre danni: infredda, diaccia il culo e guasta i panni”. E’ un vecchio proverbio, non più attuale. Non ci sediamo più sulle pietre, non si ghiaccia il deretano e non si grinza la biancheria. “Chi si è scottato una volta, l’altra vi soffia su”. Sbagliare dovrebbe insegnare. “Chi si loda, s’imbroda”. Benedetta Modestia! “Chi ti accarezza più di quel che suole, o t’ha ingannato o ingannar ti vuole”. Attenzione agli adulatori. “Col nulla, un si fa nulla”. Per avere qualcosa, bisogna avere capacità e faticare. “Col tempo e con la paglia, maturan le sorbe (e la canaglia)”. Bisogna saper aspettare, sia che maturino i frutti, sia che maturino i ragazzi. “Di quel che non ti cale, non dire né bene né male”. Di ciò che non ti riguarda (calare), non esprimere pareri. “Dio li fa e poi l’accoppia”. Si diceva di persone che si trovavano bene insieme, con malizia. “Dove la voglia è pronta, le gambe son leggere”. Quando le cose piacciono, non si dura fatica. “E’ meglio un moccolo che andare a letto al buio”. Il moccolo era il mozzicone di una candela, ma anche bestemmiare! “E non son tutti uomini quelli che pisciano al muro”. Non tutti gli uomini sono capaci di stare alla pari con un altro uomo. “Fidati era un buon uomo. Non ti fidare era meglio”. La solita diffidenza dei toscani di una volta. “Icche ci va, ci vole”. Non bisogna essere avari. “Più che vecchi non si campa”. Ci possiamo provare, ma mi sembra – oggi – un tantino difficile. “I se e i ma sono un patrimonio dei bischeri”. Le ipotesi irrealizzabili sono patrimonio degli sciocchi”. Stretta la foglia, larga la vita, dite la vostra che ho detto la mia. Ecco un modesto florilegio, una raccolta di proverbi che, nella gran parte, sono ormai patrimonio delle biblioteche. Nonostante questo, fanno parte della nostra Storia che, tra l’altro, non riesce nemmeno a fermare sulla carta il suo strombazzato progresso. Prima, si parlava male e in dialetto; oggi, non si parla più: ci pensano le macchie. Ma quanto più ci si allontana dalla terra, tanto più si diventa poveri. Così, si può affermare che un Paese che non ha antenati né posteri come il nostro, può essere al massimo una tribù.