Home TRA FINZIONE E REALTA' FABRIZIO MARI Il rumore dei ricordi | Fabrizio Mari

Il rumore dei ricordi | Fabrizio Mari

 

Di nonno so solo che era bello, e niente più. Purtroppo o per fortuna sono nato senza conoscerlo, ma da quello che mi dice nonna in un certo senso penso che mi assomigliasse. Almeno così mi ha sempre detto nonna, che l’ha amato fino a che un orribile incidente la rese vedova con tre bambini sul groppone da mantenere. Tre figli maschi, di cui due gemelli, uno dei quali sarebbe poi diventato il mio babbo, che non mi assomiglia per niente. Nonno aveva le orecchie a sventola come me, la fronte alta e la faccia lunga, proprio come me. Ma era dannatamente più bello di me, accidenti, per via di quegli occhi verdi come i prati di montagna in primavera e non marroni color castagna come i miei.

Quando nonno morì nel 1942, nonna continuò ad amarlo anche dopo morto, ma c’era la guerra e piano piano il ricordo del marito ammazzato sul fronte prese il posto del dover sfamare i loro tre figli maschi. Non erano certo tempi allegri, quelli, ricordo che mi diceva nonna, ma bisognava sforzarsi di credere che tutto sarebbe prima o poi finito, che tutto sarebbe passato e che in un futuro vicino avremmo intrapreso la via della ricostruzione, della rinascita, in un certo senso. O almeno così si sperava.

Nonna era ed è tuttora una abilissima sarta. Datele un pezzo di stoffa grezza, un panno di seta, financo una balla di iuta e nonna come per magia tuttora vi mostrerà la prodigiosa abilità delle sue dita e della sua vista, che, accidenti, anche ora che ha quasi novantasette anni, non chiede aiuto agli occhiali, strumento del diavolo e dei preti, così dice lei.

Io quando esco dalla clinica passo sempre a trovarla. Nonna mi accoglie col suo splendido sorriso, mi dà una carezza, a volte però mi dice che devo farmi la barba, mentre spesso mi chiede se mi sono fatto la fidanzata. Che poi, lì per lì, a pensarci bene, dico tra me e me, alle mie orecchie suona un poco scandaloso questa sua domanda, ma io so che lei vuole semplicemente dirmi se ho una ragazza, senza necessariamente dedurre che me la sia portata a letto a combinar qualcosa sotto le lenzuola.

Voglio un mondo di bene a nonna, questo credo che si sia capito. E credo che lei ne voglia a me. Nonna sa fare tutto, oltre che a cucire divinamente, voglio dire, ed è pure espertissima tuttora a cucinare. Sfido voialtri che leggete questa cosa a trovare in qualsiasi trattoria toscana qualcuno che sappia fare i tordelli ripieni di ricotta di pecora e spinaci meglio di quelli che fa nonna. Io, benché fossi piccolo, ricordo le domeniche mattina passate ad osservare nonna che impastava la farina e le uova per fare la sfoglia per i tordelli e questo, decenni più tardi, l’ho collegato col prete che sull’altare alza il calice in faccia ai fedeli nel momento in cui il vino ed il pane diventano come per magia sangue e corpo di Gesù Cristo nostro Signore.

Nonna però bestemmiava volentieri se la sfoglia non le veniva bene, nonostante ci fosse dietro di lei il quadro di papa Giovanni Paolo I. Ora io non mi ricordo esattamente le bestemmie che nonna diceva, però notavo che diventava tutta rossa, ed io non ho mai capito se era perché la sfoglia non era venuta come voleva lei o perché si rendeva conto di averle sparate grosse nei confronti della Madonna e di Gesù e pure di qualche santo preso nel mucchio tra i tanti che ci sono. Una cosa però me la ricordo bene. Quando veniva il prete a benedire la nostra casa durante la quaresima, nonna si vestiva di tutto punto, che pareva andasse ad una cerimonia, perché ci teneva a fare bella figura col prete, che era anche un discreto uomo, diceva. E gli dava una busta, chiusa e sigillata come un atto notarile, e dentro, l’ho saputo anni dopo, non c’erano mai meno di cinquanta mila lire, che a me pare una cifra folle a pensarci bene. Chi sa cosa avrebbe detto l’immagine del povero papa Giovanni Paolo I che aveva la sciagura di sentire la domenica mattina tutte quelle orribili bestemmie che nonna diceva quando la sfoglia le veniva male!

Il bello era che nonna aveva un fratello, Carlo, che, quando vide che la situazione si stava mettendo male, pensò bene di entrare in seminario; anzi, prima fece il suo noviziato lassù a la Verna, dove c’erano più cinghiali che cristiani, e si intruppò, come diceva nonna ridendo matta alzando le spalle, tra i minori osservanti, e poi fu spostato a Firenze, credo, ma non son sicuro, a Monte alle Croci, che ho poi visitato decenni dopo e che si trova vicino alla magnifica basilica di San Miniato al Monte. Tra l’altro, ora che ci penso, è proprio in quella basilica fiorentina, che si affaccia sul cimitero delle Porte Sante, che è sepolto, lì nella controfacciata della chiesa, Giuseppe Giusti, poeta originario di Monsummano Terme, morto quarantunenne, che mi pare di ricordare fosse in stretta intimità con un’arcavola di nonna. Nonna alludeva a qualche fuggita, così diceva, e rideva, di questa sua arcavola sgallettata a Monsummano Terme, dove c’era un certo aitante poeta scapestrato che si chiamava proprio Giuseppe Giusti.

A proposito di Monsummano, ricordo anche che nonna mi rammentava e spesso mi rammenta tuttora, di un certo Luigi, che era poco più giovane di lei, che se ne andava sempre bello come il sole per Monsummano colla sua bicicletta linda e in ordine, e che era simpatico ed intelligente, e che aveva gli occhi azzurri come è il cielo in un giorno caldo di primavera e un sorriso che avrebbe fatto innamorare chiunque lo avesse incrociato per strada. Sembrerebbe una novella detta così, ma io conosco davvero Luigi, e lo trovo spesso in piazza a Monsummano, oppure in biblioteca dove fa le parole crociate, ed ora sono orgoglioso di essere amico suo, ed è esattamente come me lo descriveva nonna parecchi anni fa. Gli stessi occhi azzurri del mare quando è calmo e del cielo quando non ci sono nuvole, la stessa intelligenza di un novantenne e la stessa amabile affabilità, che ti fa davvero credere che tutto quello che lui e la sua generazione hanno creato non è stato fatto invano. O almeno così io credo. Sto cercando in questi giorni di far incontrare il bel novantenne Luigi e nonna. Chissà quante cose non dette in tutti questi decenni avranno da dirsi.

Ma mi sono perso a parlare di Luigi e nonna. Stavo dicendo di suo fratello, Carlo. Insomma, lui si fece frate che nemmeno aveva 15 anni, e questa cosa qui gettò nel dramma il suo babbo, che voleva invece che diventasse un bravo figliolo, timorato di Dio, ma non un frate zoccolante, che avrebbe passato la sua vita a strusciare panche, baciare ostensori e biasciare ostie.

Il babbo di nonna era davvero tremendo, e credo che avesse un poco di ragione.